“L’uscita dal tunnel della recessione si allontana e le probabilità di ripresa nel 2009 appaiono ora nulle, schiacciate dalla crisi bancaria che rischia di avvitarsi in una pericolosa spirale con l’economia reale”. A dirlo è il Centro Studi di Confindustria, che dopo le ultime evoluzioni della crisi finanziaria internazionale ha tagliato le stime sul pil italiano, come già anticipato sabato scorso dal presidente degli industriali Emma Marcegaglia. Secondo il Csc, il prodotto interno lordo calerà dello 0,2 per cento nel 2008 e dello 0,5 l’anno prossimo, contro il -0,1 e il +0,4 indicati a settembre.

La contrazione del pil nel 2009 sarà guidata dal calo dei consumi (-0,6 per cento) e da quello degli investimenti (-1,9). Per il Csc “la diminuzione della spesa delle famiglie si realizza nonostante il progresso del reddito reale legato alla decisa decelerazione dei prezzi al consumo (dal 3,5 per cento del 2008 al 2,1 per cento del 2009) e l’incremento delle retribuzioni per addetto (+2,7 per cento, determinato da contratti già firmati)”. La sfiducia sarebbe dovuta piuttosto a un mercato del lavoro “più difficile e alla tendenza a ricostituire un po’ della ricchezza persa nella tempesta finanziaria accrescendo la parsimonia delle famiglie”. Una compressione che comunque “lascia spazio per una successiva maggiore vivacità degli acquisti familiari”.

Tuttavia, prosegue il Centro Studi di Confindustria, “l’attuale fase di panico con lo squagliamento dei prezzi di Borsa e il congelamento del credito non è duratura, e si arriverà alla soluzione della crisi creditizia in tempi non lunghi, anche se non abbastanza da rimettere in moto l’espansione economica già dall’anno prossimo”. Insomma, la ripresa slitterà al 2010.

Quanto poi ai deficit pubblici, sono “destinati a peggiorare. In Italia il disavanzo sarà pari al 2,4 per cento del pil (confidando nella piena efficacia della manovra di risanamento) contro l’obiettivo del 2,1 per cento recentemente rivisto dal governo. Il debito pubblico del nostro paese tornerà ad aumentare in rapporto al Pil al 104,4 per cento nel 2009 dal 103,8 per cento nel 2008, sia per il maggior incremento del numeratore (causa più alto deficit) sia per il minor aumento del denominatore”. Si tratta comunque “di un andamento fisiologico che non può essere considerato una violazione degli accordi europei, alla luce del quadro congiunturale critico, e che - puntualizza il Csc - non può nemmeno essere un alibi per accantonare la politica di risanamento”.