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Nuovo sciopero oggi (giovedì 14 novembre) dei 454 dipendenti della Corneliani, storica azienda tessile di Mantova. Giovedì 7 e venerdì 8 novembre si sono tenute due giornate di stop (il primo giorno con un’adesione del 95 per cento, il secondo del 100 per cento), altre otto ore di astensione dal lavoro sono state programmate entro la fine dell’anno. A motivare la protesta di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil è il piano industriale per il prossimo triennio, presentato il 6 novembre scorso dal direttore generale Luigi Ferrando, che prevede investimenti per 18,5 milioni di euro ma anche 130 esuberi (pari al 28 per cento dell’intero personale) da realizzare entro la fine del 2020.
Fondata negli anni cinquanta, l’azienda Corneliani col tempo è divenuta una firma internazionale dell’alta sartoria maschile, con filiali in Cina e Stati Uniti e stabilimenti in Romania e Slovacchia. Negli ultimi anni l’azienda ha vissuto periodi di forte criticità. Fino al 2016 è stata guidata da vari esponenti della famiglia Corneliani, poi il 51 per cento è stato ceduto al fondo di private equity Investcorp (con sede a Manama, capitale del Bahrein). La vendita non ha però portato al rilancio del marchio: il fatturato è sceso dai 142 milioni di euro del 2012 ai 108 milioni del 2018, l’ultimo bilancio si chiude con 12 milioni di perdite.
“Le condizioni per tornare a sederci al tavolo delle trattative sono due: ritiro dei 130 esuberi annunciati e che la controparte sia rappresentata da una figura qualificata per farlo, non da un direttore generale con ormai pochi poteri in mano”, spiegano i sindacati territoriali di categoria, reputando “inaccettabile” il piano presentato dall'azienda. “Anni di diatribe e contrasti interni stanno portando a questo: a 130 licenziamenti che andranno a pesare tantissimo sulle famiglie mantovane. Un colpo che non accettiamo possa venire portato a compimento come se nulla fosse”, aggiungono Filctem, Femca e Uiltec, rilevando che “Corneliani è il brand di alta moda che porta Mantova in tutto il mondo: il gruppo non ha bisogno di tagliare posti di lavoro, ma di investimenti seri. Solo così si può pensare a un rilancio”.
L’azienda, ovviamente, ribadisce le proprie intenzioni. Il piano, si legge in una nota, è “finalizzato a garantire la competitività e la crescita dell’azienda nel lungo periodo”. La riorganizzazione punta a “trasformare la storica sede di Mantova in un polo di eccellenza della manifattura d'alta gamma del made in Italy” e ad “affrontare le avverse condizioni di mercato e i cambiamenti irreversibili nel settore che richiedono inderogabilmente nuovi modelli organizzativi e di business”. Le misure presentate includono importanti “investimenti per consolidare il presidio dei canali di vendita nelle aree geografiche con maggiore potenziale, lo sviluppo dell'e-commerce e la ridefinizione e potenziamento delle collezioni e del footprint produttivo, con la conseguente valorizzazione del brand”. L'azienda, si legge infine nel comunicato, ha già “dato la propria disponibilità a un confronto con le organizzazioni sindacali per trovare soluzioni condivise e minimizzare l'impatto sociale”.
I sindacati parlano di “disastro” e considerano il piano industriale “irricevibile da tutti i punti di vista”. Questo, infatti, contempla “investimenti per sei milioni di euro all'anno per i prossimi tre anni: investimenti che altro non sono se non i risparmi che verranno generati dai licenziamenti”. Gli esuberi richiesti (130) sono suddivisi in 72 operai e 58 impiegati, il 90 per cento del personale sono donne con famiglia. “Già nei mesi passati, vista l’aria che tirava, una cinquantina di lavoratori se n’è andata”, conclude il comunicato sindacale: “Quelli che l’azienda propone sono esuberi sugli esuberi volontari di chi ha scelto di farsi da parte. Inaccettabile”.
“Questa è una battaglia che combatteremo fino in fondo uniti”, ha affermato il segretario generale della Filctem Cgil mantovana Michele Orezzi, ricordando sia i tanti sacrifici fin qui fatti, dalle quattordicesime soppresse per i neoassunti ai livelli di inquadramento sottodimensionati, alla cassa integrazione della scorsa primavera, sia la riorganizzazione in realtà già avvenuta, considerando il calo di 50 unità verificatosi da gennaio a oggi tra pensionamenti e uscite volontarie. “Pensare un piano industriale sulla pelle di 130 lavoratori è inaccettabile, è l’azienda stessa che nel comunicato mandato agli organi di stampa ammette che i tagli serviranno per finanziare gli investimenti”, conclude il segretario generale della Filctem Cgil territoriale: “Ora la pazienza è finita, quanto è successo ha tracciato un solco da cui non si torna indietro”.
(mt)