PHOTO
Sentiamo il bisogno di aprire una riflessione sulla realtà del cooperativismo e dell'economia solidale, a partire dall'esperienza di una regione, l'Emilia Romagna, che è stata culla del cooperativismo in Italia. Una riflessione resa ancor più necessaria dopo 7 anni di crisi economica, che ha lasciato segni profondi anche in una regione tra le più avanzate ed economicamente sviluppate del continente europeo.
Un dato sopra tutti: l’andamento della disoccupazione (inclusa quella giovanile) che non conoscevamo ai livelli attuali da diversi decenni, e che ha raggiunto il triplo dei valori pre-crisi. Siamo di fronte a consistenti elementi di sofferenza sul piano sociale, se guardiamo: alle nuove forme di povertà; al prodursi di nuove emarginazioni sociali; alla minore eguaglianza sociale; alle aree consistenti del mercato del lavoro dove dominano precarietà, irregolarità e bassi salari.
La cooperazione in Emilia Romagna rappresenta una realtà fatta di quasi 4.000 imprese, oltre 150.000 addetti, con un apporto notevole alla produzione di ricchezza in questa regione in quasi tutti i settori economici. Una realtà estremamente importante, sedimentata storicamente in oltre 150 anni di storia. Non avremmo conosciuto lo sviluppo che abbiamo avuto in questa regione senza l’esperienza della cooperazione. L’economia solidale, entro la quale il modello dell’impresa cooperativa potrebbe essere sicuramente l’elemento portante, rappresenta una parte - ma molto significativa sul piano valoriale - nel contesto del sistema cooperativo.
Oggi, la galassia del cooperativismo, in Emilia Romagna, presenta al suo interno differenze, contraddizioni e derive assolutamente rilevanti, oltre che alcune situazioni estremamente preoccupanti: il riconoscimento effettivo dei diritti dei lavoratori; gli strumenti di partecipazione dei soci ai processi decisionali; per non parlare della cosiddetta “cooperazione spuria” o degli aspetti degenerativi che anche la cronaca recente ci consegna, con episodi gravi di corruzione e il tentativo delle mafie di infiltrare anche il movimento cooperativo. Vanno evitate le generalizzazioni, ma i problemi sono rilevanti e consistenti.
Nell’oscillazione tra mercato e i principi di solidarietà e mutualità, in molti casi è prevalso il primo, annichilendo alcuni principi e valori di fondo
Più in generale si può dire che nell’oscillazione tra mercato e i principi di solidarietà e mutualità, in molti casi, è prevalso il primo, troppo spesso annichilendo alcuni principi e valori di fondo. Non è tanto il modello che, preso astrattamente, fatichi a funzionare, ma la sua concreta applicazione.
Anche di fronte alle sfide che un’attenta riflessione sulla condizione dell’economia, sulle origini e conseguenze della crisi, ci propongono, oggi non è possibile assumere la dimensione del modello cooperativo come un modello positivo in sé, senza distinguere, senza riflettere sulle necessarie trasformazioni e cambiamenti che il movimento cooperativo deve affrontare. Ciò è fondamentale per costruire quello che in teoria (e storicamente) ha sempre voluto rappresentare: una alternativa al modello puramente capitalistico di impresa; una frontiera avanzata – un tempo la più avanzata – sul terreno della democrazia economica.
Andrebbero ripresi in mano i valori delle origini. Penso all’idea che aveva in testa uno dei padri fondatori (Camillo Prampolini): l’impresa cooperativa come strumento di emancipazione del lavoro, di affermazione della giustizia sociale, strumento di trasformazione dell’intera società. Anche per questo, abbiamo anche noi qualcosa da imparare guardando alle esperienze di altri paesi che, solo più recentemente, hanno scoperto l’utilità e il valore del modello dell’impresa cooperativa.
Il tema della crisi ha una valenza generale. Non è questa la sede per una riflessione ad ampio raggio sulla crisi sistemica che l'economia attraversa su scala planetaria e non c'è lo spazio neppure per una riflessione sulle politiche di austerità che continuano a dominare in Europa. Il punto è il seguente: se è vero che lo sviluppo di un modello rinnovato di impresa cooperativa, ed anche le diverse forme di economia solidale, possono rappresentare una via alternativa da percorrere dentro la crisi, è altrettanto evidente che non c'è soluzione se non cambiano le politiche pubbliche e non si riafferma il primato della politica sull'economia.
E', in una certa misura, il ragionamento che abbiamo provato a fare nella nostra regione con la recente stipula del Patto per il Lavoro, tentando di percorrere una via alternativa al modello seguito dal Governo nazionale, di fatto basato sulla riduzione dei diritti e sulla competizione sul costo del lavoro. Con il Patto per il Lavoro dell'Emilia Romagna (sottoscritto da tutte le Istituzioni e Parti sociali) abbiamo provato a riaffermare un modello basato su alcuni punti fondamentali:
A. sull'aumento della capacità di creare valore aggiunto, agendo sullo sviluppo e sulla diffusione delle conoscenze e delle competenze e, quindi, su un’ampia capacità di innovazione;
B. sulla piena affermazione della legalità in ogni ambito e in particolare in ogni relazione di lavoro;
C. sulla capacità di stimolare investimenti (il Patto per il Lavoro mobilita per i prossimi 4 anni circa 15 miliardi di euro di risorse europee, nazionali e regionali, capaci di stimolare ulteriori investimenti privati);
D. su un sistema di welfare come leva per creare buona e nuova occupazione, ridurre le disuguaglianze e migliorare la coesione sociale.
Lo scopo che ci siamo proposti di perseguire è rappresentato dalla necessità di affrontare le conseguenze di questi anni di crisi attraverso politiche che generino lavoro e rilanciando l’obiettivo della piena e buona occupazione, quale condizione necessaria per la tenuta stessa del livello di welfare e di coesione sociale.
E’ evidente, quindi, quanta rilevanza può avere all’interno di questa cornice:
Un ripensamento ed un rilancio del modello dell’impresa cooperativa, che sappia certamente stare sul mercato, tuttavia riuscendo a rappresentare una vera alternativa al modello di impresa capitalistica, a partire dalla funzione che la stessa Costituzione gli assegna (“funzione sociale”).
Lo sviluppo delle forme di economia solidale, non solo entro politiche di nicchia, ma come strumento capace di interpretare più a fondo quei valori di mutualità, solidarietà, aiuto, che sono alla base della concezione storica dell’impresa cooperativa.
L’economia solidale può rappresentare una risposta significativa e duratura alla crisi; ha nel suo dna la salvaguardia e la promozione dei “beni comuni”, il rapporto con ed il rispetto per il territorio; può indicare un modello che sta agli antipodi della competizione tra i lavoratori; propone, potenzialmente, una cultura partecipativa e di valorizzazione delle relazione molto importante; indica una visione diversa del mercato; può e deve mettere i diritti al centro del proprio agire.
Lo dico – e ho usato il verbo “può” - nella consapevolezza che il modello cooperativo in sé, anche quando interviene in ambiti sensibili per un’idea di progresso sociale, se è scollegato da determinati valori e principi (in primo luogo le idee di uguaglianza e giustizia sociale) non è detto che rappresenti un elemento positivo, sempre, comunque e a prescindere. Il primato sta nei principi, non nel modello di impresa preso astrattamente.
Al dunque, come ho provato ad argomentare, è il contesto delle politiche pubbliche (anche attraverso gli strumenti della programmazione economica e innovando la legislazione) che può consentire lo sviluppo del cooperativismo e, più in generale, l'affermazione di un modello d'impresa improntato alla democrazia economica, alla partecipazione dei lavoratori e al pieno riconoscimento dei diritti.
In questo, il ruolo del movimento sindacale è stato e rimarrà assolutamente centrale, anche come sollecitatore di un impianto di riforme assolutamente necessario.
* Segreteria Cgil Emilia Romagna
(sintesi dell'intervento sull'economia solidale tenuto al convegno del 18 agosto, San Bernardo, Brasile)