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Jobs Act, al peggio non c’è mai fine. Non sapremmo come diversamente commentare la norma con cui nei giorni scorsi il governo ha dato il via libera all’eliminazione, nell’ambito del decreto semplificazioni, dell’obbligatorietà dell’accordo sindacale relativamente all’utilizzo da parte di un’impresa di sistemi di controllo a distanza dei propri dipendenti.
L’ennesima offensiva sferrata contro il mondo del lavoro – sotto forma di atto deliberatamente unilaterale – che giunge quando ancora non è spenta l’eco delle polemiche che hanno accompagnato negli ultimi mesi l’iter parlamentare della riforma renziana del lavoro, contribuendo a gettare nuova benzina sul fuoco dei già problematici rapporti tra Palazzo Chigi e Cgil, Cisl e Uil.
Un’offensiva nei cui confronti la Cgil ha deciso di organizzare una campagna di sensibilizzazione che avrà il suo punto di forza in una serie di brevi flash mob (della durata di circa 15-20 minuti) che debuttano oggi a Roma e a Bari e proseguiranno nei prossimi giorni in altre città italiane: il 24 giugno a Napoli, il 25 a Firenze, il 26 a Bologna e a Venezia, il 27 a Genova, il 29 a Milano e a Palermo, il 30 a Torino.
“Spionaggio”, “colpo di mano”, atto degno del “Grande Fratello” (quello di orwelliana memoria, ça va sans dire), sono alcuni degli epiteti utilizzati in casa sindacale nei riguardi della misura governativa. Esagerati allarmismi? Non proprio. Anzi, a sostegno della levata di scudi delle principali sigle confederali ci sono almeno due ordini di fondati motivi. Il decreto infatti, oltre a rappresentare un pesante arretramento – in assenza dell’autorizzazione sindacale o di quella delle Direzioni territoriali del lavoro – rispetto all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, è in evidente contrasto con la Raccomandazione approvata lo scorso 7 aprile dal Consiglio d’Europa con lo scopo di proteggere la privacy dei lavoratori, stabilendo limiti ferrei su qualsiasi tipo di controllo operato con mezzi tecnologici.
Ce n’è abbastanza insomma per sollevare un problema di legittimità nei confronti del provvedimento. Che lo stesso ministro Poletti difende facendo uso di argomentazioni non proprio solidissime. Non saremmo, a giudizio del titolare del Lavoro, in presenza di una liberalizzazione dei controlli, ma di una misura finalizzata ad adeguare le norme dello Statuto “alle innovazioni tecnologiche nel frattempo intervenute”, vale a dire i computer, i cellulari e i tablet dei lavoratori, e agli annessi limiti di utilizzabilità dei dati da questi “nuovi” strumenti (nuovi, naturalmente, a far data dal 1970) raccolti.
E nel tentativo di fugare ogni dubbio sulle cattive intenzioni degli autori del decreto, è la stessa modifica all’articolo 4 della legge 300 a chiarire che “non possono essere considerati strumenti di controllo a distanza gli strumenti che vengono assegnati per rendere la prestazione lavorativa”.
Ora, ammettendo pure – e con estrema difficoltà – i buoni propositi del ministero del Lavoro, un dubbio (per più di qualcuno una convinzione) rimane in piedi: e cioè che da strumenti concepiti per “servire” il lavoratore nella propria prestazione, i cellulari o i pc possano facilmente trasformarsi – con l’aggiunta di appositi software o filtri (e non sarebbe la prima volta) – in mezzi utili al datore per controllare l’operato dei suoi dipendenti. Un modo francamente discutibile di adeguare alle esigenze dell’oggi – ma sarebbe più corretto dire: manomettere – la legge 300. Un’involuzione che ha del clamoroso e che non può che preoccupare le organizzazioni dei lavoratori.
Il tutto (e qui la beffa è praticamente al culmine) in una fase in cui proprio da parte della Cgil si rilancia con grande convinzione l’idea di un nuovo Statuto dei lavoratori che affermi “diritti universali”. Un testo finalizzato all’estensione reale delle tutele e per il cui conseguimento a corso d’Italia non si esclude la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare.
Com’era quel vecchio refrain sui governi di centro-sinistra e sulla loro amichevole acquiescenza nei confronti dei sindacati? Se la faccenda non fosse così seria, verrebbe quasi voglia di scherzarci su.