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Senza di loro il funzionamento dei tribunali del nostro paese non sarebbe garantito, dovendo supplire alla grave carenza d’organico di un comparto che sconta un deficit di circa 9.000 unità di personale in tutto il territorio nazionale, con punte del 30 per cento in alcuni grandi uffici. Sono i cosiddetti lavoratori “svantaggiati”, 2.650 ex cassintegrati, addetti in mobilità e disoccupati che dal 2010 svolgono tirocini formativi negli uffici giudiziari.
Non semplici numeri, ma uomini e donne in carne e ossa che, di fatto inseriti nel ciclo lavorativo, hanno trascorso gli ultimi 5 anni della loro vita affiancando a tutti gli effetti – in cambio di una retribuzione da fame (circa 300 euro mensili) – il personale interno al sistema giustizia. Ora, dopo aver acquisito nel tempo importanti competenze e un più che discreto bagaglio di esperienza sul campo, entrambi utilissimi al funzionamento della giustizia e a rendere più efficaci i servizi ai cittadini, tutte queste persone sono – a partire dal 1° maggio – senza lavoro e senza reddito a causa del venir meno dei fondi impiegati per finanziare i tirocini formativi.
È per questo motivo che Cgil e Funzione pubblica hanno deciso di scrivere ai presidenti dei gruppi di Camera e Senato, al ministro della Giustizia Andrea Orlando e al presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino, per chiedere – ai primi – un incontro urgente e – ai secondi – l’apertura di un tavolo congiunto finalizzato alla “risoluzione rapida della questione”. “Le possibilità che sono emerse sino a oggi e che riguardano comunque un futuro non immediato – sostengono nella lettera Gianna Fracassi, segretaria confederale Cgil, e Salvatore Chiaramonte, della segreteria nazionale Fp –, sono insufficienti a garantire sbocchi lavorativi a tutta la platea di lavoratori”.
A pensarci bene, tutta la vicenda appare come un autentico paradosso: lo stesso governo (inteso come organo esecutivo) che, adottando strategie sbagliate per il personale del pubblico impiego, ha con una mano scelto la strada dei tagli e stabilito il prolungamento del blocco del turn over, favorendo in alternativa la creazione della figura del precario della giustizia, oltre che l’adozione di vere e proprie decisioni “tappabuchi” (negli uffici del comparto si sono alternati dai carabinieri in quiescenza agli ex dipendenti richiamati in servizio), con l’altra mano ora cerca di disfarsi – per mancanza di risorse – delle stesse preziose figure professionali che per un lustro hanno contribuito a coprire con il loro operato i gravi limiti di una decisione politica a dir poco scellerata.
“Quando mi alzo la mattina, dico che vado al lavoro, non al tirocinio. Nella Cancelleria civile faccio di tutto. Mi occupo di ciò che serve, ho intrapreso negli anni un percorso di apprendimento, svolgo un ruolo di supporto che mi è riconosciuto da tutti gli altri lavoratori”. Così si era espressa il 9 aprile Stefania, impegnata dal 2010 nel tribunale di Pescara, in occasione di una conferenza stampa organizzata nella sede della Cgil nazionale. E dello stesso tenore furono le testimonianze di tanti altri suoi “colleghi” provenienti da tutta la penisola.
Non chiedono la luna, i sindacati (che lo scorso 28 aprile hanno organizzato una manifestazione nazionale di protesta a Roma), ma semplicemente che l’attività lavorativa di fatto esercitata dai tirocinanti (mascherata da stage formativo) venga dopo 5 anni riconosciuta attraverso un percorso di contrattualizzazione. Riuscirà il buon senso insito in questa richiesta a far recedere il governo dalle sue posizioni di chiusura? Per il momento, l’unico elemento certo è che le timide concessioni fatte intravedere dal ministro Orlando a una delegazione di precari incontrata in occasione della manifestazione del 28 (delle generiche “soluzioni per tutti”) sembra ancora troppo poca cosa.