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Un contratto pirata vuol dire meno denaro in busta paga, meno diritti e meno tutele: ferie, malattia, addirittura maternità. Ma non solo: ripercussioni magari meno “appariscenti” si hanno almeno anche in un altro ambito altrettanto importante della vita di un lavoratore, ovvero quello della formazione continua, che oggi sappiamo essere fondamentale per tutto l’arco della vita attiva. I fondi per la formazione continua rientrano nel grande capitolo della bilateralità e nascono da accordi siglati tra le parti. Anche in questo caso, tuttavia, spesso avviene ciò che accade per i contratti pirata: si creano controparti fittizie per dar vita a fondi che hanno come unico obiettivo quello di accaparrarsi risorse. Risorse sottratte al mondo del lavoro perché i fondi, ricordiamo, sono finanziati dallo 0,30 per cento del monte salari che il datore di lavoro è tenuto a versare all’Inps.
“Io li chiamo fondi commerciali o mercantili, perché non hanno alcun reale interesse per la formazione dei lavoratori”, spiega Franco Valente, direttore di Fondoprofessioni, nato nel 2003 con l'accordo interconfederale tra Confprofessioni, Confedertecnica, Cipa e Cgil, Cisl, Uil e rivolto ai lavoratori degli studi professionali.
I fondi per la formazione continua sono 21, ma almeno 4 o 5 tra di essi rientrano nella categoria dei fondi commerciali. “I fondi interprofessionali hanno valore anche come strumento strategico nell'ambito dello sviluppo di un comparto – spiega Valente –, e infatti il legislatore nel puntare sulla formazione continua dei lavoratori non ne ha fatto una questione individuale, ma li ha inseriti in un ambito contrattuale e per questo ha affidato alle parti sociali maggiormente rappresentative un ruolo molto importante. Per lo stesso motivo anche le parti sociali ne hanno fatto uno strumento strategico della propria azione”. Al contrario, aggiunge il direttore di Fondoprofessioni, “i fondi commerciali non hanno assolutamente alcuna esigenza nel rispondere a questa visione strategica, a questo ruolo attivo nello sviluppo di un comparto, ma semplicemente sfruttano un'opportunità andando anche eventualmente a creare una rappresentanza fittizia”.
Il problema è che questi fondi sono legali, perché gli enti vigilanti hanno difficoltà a misurare l’effettiva rappresentanza delle parti che li istituiscono. Il tema, dunque, è sempre quello: misurare la reale rappresentatività di chi contratta e stipula accordi che poi ricadono nel bene e nel male sulla vita dei lavoratori. In questo caso, poi, c’è un elemento in più: non esiste alcun obbligo di aderire a un fondo piuttosto che a un altro, neanche l’appartenenza a un dato settore rappresenta un elemento dirimente. Ogni datore di lavoro può rivolgersi al fondo che preferisce o anche non aderire: in questo caso il versamento dello 0,30 per cento del suo monte salari – che è comunque obbligatorio – va comunque all’Inps, dove però non è detto che venga utilizzato per la formazione dei lavoratori.