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È prevista per oggi (27 febbraio) a Bologna la presentazione del Rapporto Ires sulla contrattazione territoriale confederale in Emilia Romagna (2014-2016) dal titolo “Le nuove frontiere della contrattazione territoriale”. Quella che segue è la rielaborazione del terzo capitolo del documento (il testo integrale è disponibile online)
Il nuovo Piano del lavoro proposto dalla Cgil nel 2013 aveva tra i punti qualificanti la necessità di una sua estensione a livello territoriale. Nei documenti che lo illustravano si parlava non a caso di aprire “100 tavoli locali per il lavoro in 100 città d'Italia”(dal vademecum “Il Piano del lavoro della Cgil”, aprile 2014). Si esplicitava così chiaramente la volontà di rilanciare la contrattazione territoriale, innervandola con lo spirito e i contenuti che erano alla base di quella proposta programmatica. È quindi anche certamente per effetto di una precisa scelta se una delle evidenze più rilevanti che emerge dall'analisi dei testi nei quali si è tradotta la negoziazione territoriale in Emilia Romagna nel triennio 2014-2016 è proprio quella che riguarda la crescente attenzione per i temi del lavoro e della crescita economica del territorio.
Si può dunque ritenere, o quantomeno auspicare, che non si sia trattato di un fenomeno contingente, legato soltanto alle emergenze da affrontare e alla fase specifica che il Paese stava attraversando, ma di un cambiamento strutturale, a cui sottende anche una precisa evoluzione politica e culturale. Accompagnata del resto, non a caso, da una sempre maggiore assunzione di impegno e responsabilità delle strutture confederali del sindacato, che riduce via via il numero di casi nei quali la conduzione dei negoziati con le amministrazioni locali è sostanzialmente delegata alle categorie dei pensionati. Sembra quindi lecito sostenere che in realtà in questi anni si sia determinato un vero e proprio spostamento di asse della contrattazione territoriale, nella quale le politiche per lo sviluppo hanno assunto un rilievo sempre più centrale.
Coerentemente con questa evoluzione, acquisiscono un ruolo centrale in questa fase gli accordi, che quasi sempre assumono il titolo di “patti”, che prendono a riferimento un arco temporale più lungo di quello legato all’annuale approvazione dei bilanci di previsione delle amministrazioni, che era il tratto di gran lunga prevalente nell'esperienza originaria della contrattazione sociale territoriale. I patti fanno sempre riferimento ad un arco temporale pluriennale, se non addirittura coincidente con l'intero mandato di governo dell'ente sottoscrittore.
Il caso esemplare, in questo senso, è quello del “Patto per il lavoro”, sottoscritto nel luglio 2015 tra la giunta regionale dell'Emilia Romagna, le organizzazioni sindacali, tutte le più importanti associazioni di rappresentanza, le università e le principali amministrazioni locali della regione. Sottoscritto a meno di un anno dall'elezione del nuovo consiglio regionale, si autodefinisce esplicitamente come “un patto di legislatura” e il suo stesso impianto contenutistico riflette chiaramente questa ambizione. Per rilevanza dei contenuti e qualità e quantità delle parti contraenti si tratta sicuramente dell'atto più importante della contrattazione sviluppata a livello territoriale nel triennio considerato. Tuttavia, non si tratta dell'unico accordo che ha queste caratteristiche, nel periodo considerato.
Va da sé che accordi come quelli appena richiamati, che si misurano su una lunga dimensione temporale, corrono il rischio di uno squilibrio tra l'enunciazione di obiettivi a volte fin troppo ambiziosi, e la difficoltà di indicare da subito in modo esaustivo le misure concrete attraverso le quali realizzare quegli obiettivi. Ciò che può ridurre la distanza tra obiettivi e azioni è ovviamente l'attività di verifica e monitoraggio permanente: molto opportunamente la parte conclusiva della premessa del Patto regionale prevede infatti sia “un confronto preventivo sui contenuti delle principali azioni e dei provvedimenti da intraprendere in attuazione e in coerenza con quanto condiviso”, sia una cadenza periodica nella quale effettuare il necessario monitoraggio degli obiettivi. In altri casi sono state adottate altre strategie, comunque finalizzate allo stesso obiettivo.
Passando a un esame più approfondito dei temi affrontati negli accordi e nei verbali, è pressoché generale il richiamo all'obiettivo di generare nuova occupazione. Del resto, è appena alle spalle il 2013, anno di terribile caduta occupazionale, sia in Italia, sia in Emilia Romagna, che resterà, insieme a quello successivo, il 2014, l'anno peggiore degli ultimi 20 come tasso di occupazione. A fronte quindi di questo obiettivo almeno in termini generali largamente condiviso e abbondantemente richiamato, diversi sono gli strumenti messi in campo per raggiungerlo. Il Patto regionale conta di perseguirlo soprattutto attraverso un “aumento della capacità di creare valore aggiunto”, e quindi con la “diffusione delle conoscenze e delle competenze” e la “capacità di innovazione nella produzione e nei servizi”.
A questi obiettivi generali sono a loro volta connessi gli interventi poi dettagliati nella parte successiva del patto, che riguardano in particolare legalità e appalti, manutenzione del territorio e riqualificazione del patrimonio ambientale e culturale, infrastrutture per la mobilità e per l'interconnessione, politiche attive per il lavoro, welfare. Se l'obiettivo della crescita economica e occupazionale è fortemente ricorrente nei documenti sottoscritti nel triennio, varia è invece l'articolazione degli strumenti, in relazione soprattutto a due variabili: la dimensione dell'amministrazione pubblica sottoscrittrice (a cui è legata anche la disponibilità di risorse da mettere in campo) e la natura dello strumento negoziale adottato (patto, protocollo, accordo sul bilancio preventivo, verbale di incontro ecc.).
Un altro tema abbondantemente presente nella negoziazione territoriale del triennio considerato è quello della legalità e della lotta al lavoro irregolare, in particolare nell'ambito della gestione degli appalti. Gli argomenti più ampiamente affrontati nell'ambito di questa tematica sono quelli dell'applicazione della clausola sociale in caso di cambio dell'appaltatore e del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa come modalità ordinaria di aggiudicazione degli appalti, in contrapposizione a quella del massimo ribasso.
In definitiva, la contrattazione territoriale svolta in Emilia Romagna nel triennio 2014-2016 sui temi dello sviluppo e del lavoro è fortemente caratterizzata da alcuni elementi di novità, in parte indotti da fenomeni oggettivi, in parte frutto di un'elaborazione del sindacato e in particolar modo della Cgil. La prima novità riguarda lo schema di fondo della contrattazione, che non è più strettamente riconducibile al tradizionale accordo o verbale di incontro siglato in occasione dell'approvazione del bilancio di previsione dell'amministrazione locale, ma che, in un numero ancora limitato, e nettamente crescente di casi, si misura con una dimensione pluriennale, a volte quasi coincidente con l'intero mandato amministrativo. È il caso dei cosiddetti “patti” (siano essi per il lavoro, la crescita, o altro), ma accade che anche semplici accordi o verbali assumano previsioni, obiettivi o impegni che guardano oltre l'annualità.
Cresce in generale – e questa è la seconda novità – l'attenzione per i temi connessi allo sviluppo del territorio, anche come condizione per la creazione di nuova occupazione. In particolare, questa attenzione si concentra soprattutto sull'argomento più classico tra quelli connessi a questa tematica, quello degli investimenti infrastrutturali, in particolar modo quelli legati alla mobilità e all'interconnessione. Terza novità: cresce anche l'attenzione, che pure in qualche misura era già presente anche negli anni precedenti, per alcuni aspetti più qualitativi del lavoro e in particolare per il tema della regolarità e degli appalti. Si tratta anche, come noto, di una precisa scelta di politica sindacale, che trova applicazione in specifici protocolli e in richiami presenti anche in molti altri tipi di testi concordati, primo tra tutti il Patto regionale per il lavoro, che da un lato raccoglie e dall'altro a sua volta alimenta questa tendenza.
Altro importante elemento di novità è l’attenzione per le tematiche connesse alla tutela e alla messa in sicurezza del territorio. Anche per effetto dei diversi episodi calamitosi verificatisi in regione negli ultimi anni, primo tra tutti il sisma del 2012, ma anche frane e soprattutto alluvioni di varia intensità, traspare in molti testi una nuova consapevolezza su queste materie, che è certamente auspicabile trovi conferma e anche nuove modalità di concretizzazione nella negoziazione futura.
Spesso, e questo vale un po' per tutti i temi a cui in questi anni viene data maggiore attenzione rispetto al passato, la difficoltà più grossa consiste nel tradurre in azioni concrete e verificabili gli obiettivi che vengono più o meno solennemente enunciati. Si procede spesso un po' per approssimazioni, ma rimane ancora da perfezionare un modello negoziale davvero coerente con le caratteristiche di queste tematiche, che per loro natura richiedono percorsi di confronto ricorrenti, nonché la previsione stringente di luoghi e modalità di monitoraggio e di verifica.
Siamo tuttavia di fronte a un’evoluzione importante della natura e dei contenuti della contrattazione territoriale, nonché della cultura, che a essa è sottesa, delle organizzazioni sindacali e della Cgil in modo particolare. Un'evoluzione che a mio avviso va coltivata e valorizzata per il futuro, alimentandola, anche, con una riflessione serena sui suoi limiti e sulle sue difficoltà.
Giuliano Guietti è presidente dell’Ires Emilia-Romagna