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Giorni difficili, questi, per le relazioni industriali in Italia. Mentre sono in scadenza contratti molto importanti – alimentari, chimici e metalmeccanici – sono giunte non proprie inaspettate prima le anticipazioni giornalistiche sul proposito del governo di introdurre in Italia il salario minimo legale e poi, quasi in contemporanea, le dichiarazioni di Squinzi che nella riunione in Assolombarda di ieri (7/10) ha dichiarato chiuso il capitolo sui contratti. Prese di posizioni e polemiche che non potevano non rimbalzare oggi sulla conferenza stampa organizzata a Roma per presentare il nuovo eletto alla segreteria generale della Ces, il sindacato europeo, Luca Visentini.
“Bisogna dire le cose come stanno – ha detto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, sollecitata dai giornalisti sul tema –. Ci sono in campo due ipotesi diverse: da un lato chi pensa che vada mantenuto il valore universale dei diritti e della tutela salariale del contratto nazionale di lavoro, dall’altro chi, come Confindustria, crede che questo sistema vada scomposto, magari guardando a sistemi economici molto diversi dal nostro”. Camusso ha aggiunto che comunque la discussione è tutta aperta, e del resto “il Jobs Act nel riferirsi al salario minimo legale fa un esplicito riferimento ai lavoratori non contrattualizzati. E non è un caso: il Parlamento sa bene che in Italia i minimi salariali sono quelli stabiliti dai contratti nazionali, e che così deve continuare a essere”.
Per il segretario generale della Cgil la questione salariale, oltre ad attenere ai diritti, e dunque alla vita delle persone, è anche un grande tema economico: “Per Confindustria, nella convinzione errata che la nostra sia una crisi legata all’esportazione, bisogna rispondere abbassando i salari. Per noi vale esattamente il contrario: la crisi è da domanda interna e dunque abbassare i salari non funziona”.
Squinzi ha annunciato ieri che le proposte di Confindustria sui contratti saranno presto raccolte in una sorta di decalogo. Ma su questo la risposta della leader della Cgil è stata netta: “Non aspettiamo una proposta, ma prendiamo atto del fatto che Confindustria ha deciso di non fare un negoziato”. Per noi, ha concluso, “l’obiettivo è rinnovare i contratti in scadenza. Solo questi negoziati renderanno esplicito qual è il livello vero del confronto in atto”.
Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil, ha detto di non volersi pronunciare “sulle minacce di rottura di Confindustria”. Tuttavia, “dopo il nostro ultimo incontro, ci siamo lasciati con l'idea di ragionare insieme sul modello contrattuale e contemporaneamente di portare a compimento i contratti in corso. Però non è questo il segnale che Confindustria ci ha mandato”. “Dopo questo segnale - ha affermato Barbagallo - alcune categorie hanno visto bloccate le loro trattative. Ma se non si riprende la contrattazione, i problemi di questo paese peggioreranno. Abbiamo oltre 7 milioni di lavoratori che aspettano di rinnovare il proprio contratto entro l'anno”.
Per Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl, le immagini di Air France (l'aggressione ai manager da parte dei dipendenti a rischio licenziamento, ndr) mostrano chiaramente “cosa significa l'indebolimento del sindacato, l'indebolimento della sua capacità di mediazione e contrattazione”. Per questo ha ammonito: “L'alternativa al sindacato confederale è quella roba lì. È chiaro cosa succede quando non ci sono la contrattazione e la rappresentanza. Il sindacato confederale – prosegue Furlan - è forte quando contratta. La contrattazione è il cuore dell'agire della rappresentanza sindacale. È attraverso quella che garantiamo potere d'acquisto, la qualità del lavoro, la sicurezza e il diritto alla formazione”.
In Italia “siamo in un momento davvero delicato – ha spiegato Furlan -. Oggi il tema è se le nuove relazioni industriali e il nuovo modello contrattuale fanno parte delle scelte di libero confronto e contrattazione tra le parti sociali, o se altri soggetti si devono sostituire a questo”. Ma la segretaria Cisl non ha dubbi: “Le parti sociali si devono assumere fino in fondo la responsabilità di disegnare un nuovo modello di contrattazione e relazioni industriali, e nessuno si può sottrarre a questo: è un fardello che dobbiamo portare”.
A proposito della chiusura del confronto sulla riforma contrattuale decisa dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, per Furlan “ci vuole buon senso”,bisogna che le parti si mettano “intorno al tavolo”, occorre riprendere “immediatamente il confronto con Confindustria”, è necessario “il massimo sforzo per definire il modello contrattuale e di relazioni industriali”. Perché l'alternativa, il salario minimo per legge, “è la fine del contratto nazionale”. Ma per la Cisl “si difende il contratto nazionale cambiando il modello, non aprendo praterie sul salario minimo per legge. Dobbiamo chiederci come rappresentare quel 15% di lavoratori che sono fuori dai contratti nazionali. Ma la produttività – prosegue Furlan - si contratta in azienda, con la contrattazione di secondo livello”. E lancia una proposta: “Nella futura legge di stabilità deve ricomparire la detassazione degli aumenti salariali di secondo livello”.
Anche il numero uno della Ces, Luca Visentini, ha detto cose importanti e in chiave europea sul tema della contrattazione: “In Europa, laddove le associazioni dei datori di lavoro hanno favorito lo smantellamento della contrattazione nazionale hanno perso fortemente in termini di rappresentanza. A cominciare dalla Germania, dove la metà delle aziende sono uscite dalla Confindustria e ormai fanno solo contrattazione aziendale”. E, infine: “I dati Eurostat confermano che un sistema forte di relazioni industriali, una forte contrattazione e il valore erga omnes dei contratti fanno crescere competitività e produttività nelle aziende”. Ne terranno conto Squinzi e Confindustria?