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Si discute sempre molto poco del tema della contrattazione aziendale, anche da parte di chi – le rappresentanze sindacali – pure ne costituisce uno dei soggetti protagonisti. Si parla talora della contrattazione “difensiva” messa in atto a fronte di situazioni di particolare criticità produttiva o di rischio occupazionale. Molto più raramente per esaltare accordi particolarmente virtuosi, per le clausole innovative che introducono o i benefici che realizzano. Ma della grande maggioranza degli accordi stipulati, e dei loro contenuti, in realtà si sa ben poco e ancor meno si discute, nonostante siano un fatto rilevantissimo per lavoratrici e lavoratori e possano incidere sulle scelte strategiche di imprese e di interi settori.
Secondo l'ultima rilevazione effettuata da Istat, relativa al biennio 2012-2013, solo poco più del 20% delle imprese con oltre 10 dipendenti svolgono qualche forma di contrattazione collettiva. In valori assoluti si tratta di circa 45 mila imprese. Il ministero del Lavoro, dal canto suo, ci informa che da maggio 2016 fino alla metà di dicembre 2017 sono stati depositati a livello nazionale circa 28.500 contratti per ottenere la detassazione dei premi di produttività; in circa un caso su 5 si tratta però di accordi non aziendali, ma territoriali; nei tre quarti dei casi, inoltre, si tratta di accordi sottoscritti nelle regioni del nord del Paese.
È singolare il fatto che il contenuto di questi accordi, che pure usufruiscono di sovvenzioni pubbliche sotto forma di agevolazioni fiscali, non venga reso pubblico. Il ministero del Lavoro si limita a informarci che dei 15.639 contratti attivi, cioè ancora in vigore alla data del 15 dicembre 2018, “12.269 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 9.033 di redditività, 7.302 di qualità, mentre 2.039 prevedono un piano di partecipazione e 5.236 prevedono misure di welfare aziendale”.
Ci sarebbe quindi estremamente bisogno di tornare a discutere di quanto in effetti sta avvenendo e si sta realizzando in questo campo. È assai difficile, altrimenti, che prendano forza e corpo gli indirizzi che in varie occasioni vengono elaborati perché vengano fatti propri dalle rappresentanze sindacali impegnate in questo livello di contrattazione. Due anni fa il documento conclusivo della Conferenza nazionale d’organizzazione della Cgil forniva indicazioni, anche molto dettagliate, su come si sarebbe dovuta sviluppare la cosiddetta “contrattazione di sito” a livello territoriale. Ma che ne è stato di quelle indicazioni? Hanno avuto un seguito, si sono effettivamente tradotte in accordi e con quali ostacoli hanno dovuto fare i conti?
È meritorio quindi che la Camera del lavoro metropolitana di Bologna abbia deciso di cimentarsi su questi temi, partendo proprio dalla disanima di quanto realizzato in termini di contrattazione di sito e di filiera, dei risultati ottenuti e delle difficoltà incontrate. L'ha fatto attraverso una ricerca commissionata all’Ires Emilia-Romagna e per mezzo di un primo seminario interno, in occasione del quale sono state discusse le risultanze. Ne è emerso un quadro ricco di potenzialità, ma anche denso di problemi, che chiamano in causa la necessità di profondi cambiamenti nell’agire sindacale.
Le esperienze fatte hanno riguardato soprattutto la contrattazione degli appalti in alcuni grandi siti produttivi o di servizio. In misura molto minore sono stati affrontati altri aspetti dell’attività lavorativa nei siti. Raramente, e prevalentemente per impulso aziendale, si è sviluppato un negoziato riguardante l'insieme articolato di attività, tecnologie, risorse e organizzazioni che propriamente costituiscono una filiera produttiva.
Alcuni accordi, per vari motivi particolarmente rilevanti, sono stati oggetto di un’analisi più approfondita. Si tratta dell’intesa relativa all’area agroalimentare e commerciale di Fico (Fabbrica italiana contadina), raro caso di contrattazione di sito d’anticipo, cioè realizzata prima che quest’area inizi realmente la propria attività; del protocollo riguardante l’Interporto di Bologna, area nella quale si concentrano molteplici attività di varia natura, molte delle quali operanti in appalto o subappalto; dell’accordo riguardante il sistema degli appalti e le condizioni lavorative del personale precario dell'Università di Bologna.
Ma non si tratta dei soli accordi oggetto di approfondimento: sotto la lente d’ingrandimento dell’Ires sono stati messi anche quello sottoscritto in Lamborghini, uno dei pochissimi che oltre che del sito si è occupato in qualche misura anche della filiera produttiva, e quello della multiutility Hera, che ha coinvolto lavoratori che fanno riferimento a diversi contratti nazionali di lavoro. È stato infine oggetto di analisi anche il progetto #FilieraPulita, che riguarda la filiera agroalimentare di un’area specifica del territorio della provincia di Bologna.
Anche attraverso l'utilizzo di uno specifico questionario, si è cercato di mettere a fuoco da un lato quali sono i principali ostacoli che si frappongono allo sviluppo della contrattazione di sito-filiera e, dall'altro, quali potrebbero essere le scelte di natura contrattuale, ma anche organizzativa, più adeguate per svolgere efficacemente questo tipo di contrattazione. Su entrambi i quesiti le risposte sono state piuttosto nette. Rispetto agli ostacoli è stato ovviamente dato rilievo all’ostilità delle imprese e all’oggettiva frammentazione dei lavoratori e delle attività, ma è significativo che l'attenzione maggiore sia stata rivolta a criticità per così dire “interne”, soggettive della rappresentanza sindacale, in particolar modo a un'eccessiva conflittualità tra categorie, a volte imputate di “scarsa confederalità”.
Coerentemente, l'indicazione rispetto alle modalità organizzative più adeguate si è concentrata in modo assolutamente prevalente sulla necessità di un maggior coordinamento tra le categorie e tra le Rsa-Rsu interessate, fino a porre in qualche caso il tema del delegato o addirittura del funzionario di sito. Un altro aspetto al quale è stata dedicata particolare attenzione è quello di un’attività formativa “mirata”, che aiuti soprattutto a comprendere temi e condizioni di lavoro che esulano da quelli della propria categoria di appartenenza.
La conclusione ampiamente condivisa ha riguardato l’utilità comunque di momenti di condivisione intercategoriale delle esperienze sviluppate e la necessità di accompagnare ulteriori sperimentazioni sul campo, non solo con attività formative, ma anche con specifiche occasioni di approfondimento. Nei prossimi mesi l'obiettivo che si pone la Cdlm di Bologna è quello di sviluppare ulteriormente l’iniziativa su questi temi anche attraverso progetti specifici che possano rilanciare una strategia della contrattazione inclusiva coerente con la nostra Carta dei diritti.
Giuliano Guietti è presidente dell’Ires Emilia-Romagna; Alessio Festi è componente della segreteria Cdlm di Bologna