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Confindustria si adegua al vento del cambiamento renziano? La concertazione non serve più? A sentire la relazione del presidente Squinzi all’assemblea annuale di via dell’Astronomia sembrerebbe sia proprio così. Ne chiediamo conferma a Stefano Dolcetta, vicepresidente della confederazione degli imprenditori, con la delega alle relazioni industriali, che sentiamo all’indomani dell’assemblea della sua organizzazione e di quella di Banca di Italia. “Confindustria ha preso atto di quel che è successo nel paese – ci risponde Dolcetta –. C’è stata una chiara e netta vittoria del Pd, del Pd versione Renzi. Confindustria deve essere pragmatica e contribuire – per quanto può e, ovviamente, dal proprio punto di vista – a supportare le riforme cui il governo sta pensando e di cui il nostro paese ha bisogno. Confindustria è anche interessata a che il nostro esecutivo abbia un ruolo di primo piano a livello europeo, visto che dopo le elezioni si è creata, pure a Bruxelles, una posizione di maggior forza rispetto a prima”.
Rassegna A proposito di governo e mercato del lavoro, il presidente Squinzi, ma già prima il vostro documento di maggio, hanno plaudito alle modifiche sul contratto a termine, manifestando quantomeno perplessità sul contratto unico a tutele crescenti. Cosa dovrebbe contenere, secondo voi, il Jobs Act in materia di forme contrattuali?
Dolcetta Oggi il tasso di disoccupazione è particolarmente elevato, il 12,7 per cento, non accenna a diminuire e probabilmente non diminuirà per tutto il 2014. E tra i giovani la disoccupazione è ancora più drammatica. Questo è un dato di fatto. Tutti siamo d’accordo che l’occupazione non si crea per decreto, ma creando le condizioni per cui le aziende possano ripartire. Bisogna quindi puntare ad avere una maggiore competitività. Questo è il tema. Il costo del lavoro è una delle componenti, non l’unica, per cercare di migliorare la competitività del paese. L’altra componente importante è la produttività. Un aspetto che va tenuto presente è che le aziende tendono sempre più a scegliere forme contrattuali che privilegino la flessibilità rispetto al contratto a tempo indeterminato, che viene percepito come rigido e costoso. Bisogna uscire da questa strettoia e rendere più conveniente il contratto a tempo indeterminato. Susanna Camusso dice che c’è nel paese un grande alto tasso di precarietà. Ma alle aziende la precarietà non piace, perché con lavoratori con contratti a termine si fa fatica a fare anche formazione. Le aziende oggi hanno processi produttivi sofisticati e devono pianificare. I contratti a termine non consentono di fare programmazione a lungo termine, ma in questo momento sono l’unico strumento che consente di avere flessibilità. Bisogna lavorare sul contratto a tempo indeterminato per renderlo meno costoso e più flessibile. E quindi, più appetibile per le aziende.
Rassegna Ma il contratto a tutele crescenti non va in questa direzione?
Dolcetta No, è un contratto che fa crescere il costo del lavoro semplicemente per effetto del passare del tempo. Perché ogni anno il datore di lavoro deve accantonare il costo aggiuntivo per quando il lavoratore lascerà l’azienda.
Rassegna Per questo, come scrivete nel vostro recente documento sulla materia “lavoro”, bisogna rimettere mano anche all’articolo 18?
Dolcetta Io penso che si debba favorire la flessibilità anche in uscita, garantendo, però, adeguate tutele per i lavoratori che lasciano il lavoro, ai quali va data la possibilità di riqualificarsi e un’assistenza con sussidi di disoccupazione fino a che trovino un nuovo lavoro. Occorre investire di più, molto di più, nelle politiche attive.
Rassegna Confindustria sfida il sindacato alla modifica del sistema della contrattazione. Ma nel modello che disegnate il contratto nazionale è così depotenziato che praticamente non esiste più, tanto che si accenna anche all’ipotesi di un salario minimo fissato per legge.
Dolcetta Nella nostra proposta il contratto nazionale continua a essere la cornice di riferimento nel processo di decentramento contrattuale. Dovendosi incentivare la produttività occorre puntare con decisione sul livello aziendale. Le imprese, specie quelle di medie e di grandi dimensioni, hanno delle necessità specifiche. Più riusciamo a costruire dei contratti che, dentro cornici comuni, rispondono alle esigenze delle singole realtà, più facciamo gli interessi delle aziende e dei lavoratori. Per questo penso si debba andare verso la contrattazione aziendale, incentivando, soprattutto il salario di produttività.
Rassegna Ma la contrattazione aziendale, sulla quale dite di puntare, non è certo incentivata se anche le erogazioni unilaterali, come scrivete nel vostro documento, debbono essere defiscalizzate…
Dolcetta Quello che interessa le imprese è incentivare i recuperi di produttività, quindi, spostare l’equilibrio dal contratto nazionale a quello aziendale, perché è qui che si fanno questi recuperi. Non possiamo, comunque, negare che hanno la medesima natura e finalità anche quelle erogazioni unilaterali che legano salario a risultati. Questo è un tema da approfondire. Oggi comunque abbiamo un sistema di premialità fiscale e contributiva che proprio non va. Il governo stabilisce le misure tardivamente ogni anno. Le aziende non sanno se ci sarà decontribuzione oppure no e nemmeno di quale entità sarà. Così non si può pianificare i costi e si fa fatica ad attirare investitori. Su questo fronte c’è molto da fare.
Rassegna Senza concertazione e con una contrattazione nazionale ai minimi termini, non rischiano di perdere senso i sindacati - dei lavoratori, ma anche delle imprese - a livello nazionale?
Dolcetta Non credo. Le grandi organizzazioni di rappresentanza nazionale hanno un senso anche a prescindere dal fatto che si concerti o meno con il governo. Quanto, invece, alla contrattazione collettiva nazionale noi pensiamo che debba avere contenuti forti per la competitività del settore e fissare la cornice di riferimento per la contrattazione aziendale. Sul rapporto fra contrattazione aziendale e ccnl, peraltro, ci sono differenti sensibilità tra settore e settore: ce ne sono alcuni, penso ai chimici in particolare, cui interessa mantenere un ruolo molto centrale al contratto nazionale, altri che pensano diversamente. Dov’è possibile, comunque, io credo sia opportuno andare verso contratti di secondo livello.
Rassegna Un’ultima domanda. Nel vostro documento mettete molta attenzione sul tema della produttività. Che però diventa quasi solo un problema di costo del lavoro. Ignorando, o quasi, altri fattori della produttività. Come gli investimenti in tecnologia. E del resto nelle sue considerazioni finali anche il governatore Visco invita le imprese a investire di più….
Dolcetta Ovviamente, la produttività non è data solo dal costo del lavoro, come ho già detto. È data dagli investimenti, dalla ricerca e sviluppo, dalla formazione delle persone. È data anche dal livello delle infrastrutture, da come si lavora con la pubblica amministrazione. Il lavoro comunque è una componente importante. Noi viviamo un problema molto grande: il costo del lavoro orario è tra i più alti d’Europa, ma il salario che percepiscono i dipendenti è tra i più bassi d’Europa. L’ha detto anche Visco. Per me questo è il tema più importante da affrontare. E dobbiamo farlo insieme, sindacati e Confindustria.
Rassegna Resta però anche il tema degli scarsi investimenti…
Dolcetta Certo. Ma gli investimenti si fanno se si riesce a rientrare in un arco di tempo programmato. Per farlo bisogna sapere qual è il livello di competitività del paese.