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Oltre 5.000.000 sono gli italiani all’estero e molti altri sono i giovani che vorrebbero lasciare il nostro paese, non solo per cercare quel lavoro che in Italia non riescono a trovare, ma anche per fare un’esperienza nuova. Quasi uno su 3 conosce i patronati ai quali viene riconosciuto un ruolo decisivo nell’affrontare le problematiche legate al trasferimento e oltre il 50% si dichiara soddisfatto dei servizi resi da questi istituti per agevolare il loro inserimento nei paesi ospitanti; anzi, ne chiedono l’ampliamento.
E’ uno spaccato sulla nuova mobilità delle persone, che emerge da una indagine su “I nuovi italiani all’estero: i loro bisogni e il ruolo dei patronati”, presentata questa mattina (28 marzo), nel corso della riunione annuale del Consiglio generale degli Italiani all’estero (Cgie) e che sarà prossimamente oggetto di un evento di approfondimento. Un fenomeno, quello della mobilità delle persone per il quale il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervenuto per l’occasione, ha anche annunciato di voler istituire una direzione specifica presso il dicastero in grado di interloquire con gli altri ministeri e con l’Inps per affrontare tutte le problematiche connesse alle nuove migrazioni.
Lo studio, promosso dai Patronati del Ce.Pa (Acli, Inas, Inca e Ital) e realizzato dall’istituto di ricerca Eumetra, diretto dal professor Renato Mannheimer, mette in luce i cambiamenti profondi di questi trasferimenti; un fenomeno in crescita anche a causa della crisi, che ha mutato le ragioni alla base della mobilità. Tra quanti hanno già lasciato il nostro Paese, se un buon 50% degli intervistati dichiara di essersi recato all’estero per motivi occupazionali, l’altra metà si divide tra che ha voluto fare una esperienza diversa (la cosiddetta generazione degli Erasmus) e chi, invece, si è trasferito dopo la pensione verso altri paesi nei quali il sistema di tassazione è più favorevole (14% del campione).
Alle ragioni del trasferimento si aggiunge la lista dei problemi incontrati. Per quasi tutti (circa il 90% degli intervistati), l’ostacolo principale è la scarsa conoscenza della lingua del paese ospitante, mentre sorprendentemente e solo in secondo piano emergono le difficoltà di accesso ai vari sistemi di welfare, che pure sono molto diversi tra loro. Ciononostante, spicca tra tutti la propensione a rimanervi (oltre il 50%), senza fare ritorno in patria, ma anche la volontà di trasformare la loro permanenza in una occasione per migliorare la loro qualità della vita (38%).
Ai tanti già trasferiti all’estero, si aggiunge una quota significativa di giovani (tra i 28 e i 35 anni) che vivono in Italia e che hanno desiderio di lasciare il nostro paese: il 51% del campione lo farebbe per motivi di lavoro e il restante 49% per altri motivi; tra questi il 26% per fare una esperienza diversa. Anche per loro, la scarsa conoscenza della lingua è il principale elemento frenante nell’intraprendere una decisione così drastica.
“Si tratta di un fenomeno poco indagato – ha dichiarato Morena Piccinini, presidente pro tempore del Ce.Pa, commentando i dati della ricerca – per il quale c’è bisogno di fare rete insieme a tutti gli attori istituzionali e del mondo dell’associazionismo per dare riposte ai bisogni vecchi e nuovi, favorendo l’informazione e l’orientamento delle persone”. “Per questo, raccogliendo favorevolmente l’impegno del ministro - ha aggiunto, i patronati, ai quali gli intervistati di questa indagine riconoscono ruolo e importanza, intendono garantire la massima collaborazione affinché si realizzino progetti mirati a favorire una migrazione consapevole sia in entrata che in uscita dal nostro paese. Come dimostrano anche questi dati, nessuno può dare da solo risposte a questi nuovi bisogni. E’ necessario strutturare una rete organizzata di tutti i soggetti coinvolti. Ben venga quindi questo primo passo del ministro del lavoro”.