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“La scelta fatta dalle imprese in questi anni di voler competere sulla riduzione dei diritti e del salario, sulla precarietà e la delocalizzazione delle produzioni in paesi a basso costo si è rivelata una ricetta che non funziona, avendo solo fatto aumentare diseguaglianze e povertà”. Così Maurizio Landini, segretario confederale Cgil, ai microfoni di Italia Parla, la rubrica di RadioArticolo1. “Un Paese che non investe su competenze, formazione e qualità del lavoro non può pensare di affrontare la sfida dell’innovazione di industria 4.0 – ha detto il sindacalista –. Anche perché ciò presuppone di cambiare radicalmente impianto alle politiche sociali. La scelta di competere su un livello di bassa qualità ha fatto sì che abbiamo i livelli di precarietà del lavoro più alti d’Europa e la produttività più bassa. È la conferma che bassi investimenti e alta precarietà riducono anche la produttività e la capacità di competere. E il problema della formazione non riguarda solo le giovani generazioni, ma il mondo del lavoro di ogni età e settore, dal manifatturiero alla logistica, dalla pubblica amministrazione ai servizi. In realtà, oggi l’Italia avrebbe bisogno di un piano straordinario di formazione, che deve diventare un diritto soggettivo permanente, da esercitare nell’arco dell’intera vita lavorativa dentro l’orario di lavoro. Ciò significa cambiare il rapporto tra scuola e lavoro, avere una diversa idea sull’orario e la qualità del lavoro e un ruolo nuovo dell’impresa. Penso alla vicenda della Perugina, che sta facendo utili e vuole lasciare a casa le persone solo perché ha deciso di triplicare la redditività. Questo è anche il frutto della teoria secondo cui bisogna lasciar fare al mercato. A questo punto, visti i risultati, credo che occorra cambiare il modello sociale, trasformandolo nel senso di una maggiore partecipazione e democrazia”.
“Sempre in tema di formazione, si potrebbe rivitalizzare nei contratti nazionali lo strumento delle 150 ore – ha affermato il dirigente sindacale –, che permetterebbe di affrontare meglio anche il tema dell’integrazione sociale. Le persone straniere che arrivano in Italia devono aver il diritto di avere dei corsi di lingua, poi c’è bisogno di corsi di aggiornamento perché siamo di fronte a un cambiamento delle tecnologie che riguarda tutta la nostra vita, e non solo quella lavorativa. Il vuoto della politica a vantaggio del potere della finanza, che a sua volta comanda l’economia, ha portato sul piano sindacale a un attacco ai ccnl, alla contrattazione collettiva, al ruolo stesso del sindacato, che non è più considerato un soggetto nazionale, anche perché di fronte a tali processi la formazione è un punto decisivo. Ma il punto vero è come si negozia il cambiamento, perché la tecnologia non è neutrale, ma dipende da come la si utilizza e da che tipo di organizzazione del lavoro si determina. Ecco, io penso che questo è un tema politico culturale, perché vuol dire superare la centralità del profitto del mercato e quindi avere anche un’idea di responsabilità sociale delle imprese, che finora non c’è stata con i risultati che abbiamo visto. La Cgil ha dovuto organizzare una raccolta di firme per andare a cancellare leggi contro i lavoratori e per riscrivere il diritto del lavoro che attualmente non esiste più”.
“Sabato 14 ottobre saremo in piazza con Cisl e Uil contro il Def – ha concluso l’esponente Cgil –, per cambiare la politica economica e sociale del governo, per bloccare l’aumento dell’età pensionabile, per rendere flessibile l’uscita, per costruire una pensione pubblica che garantisca anche i giovani, per riconoscere il lavoro di cura sia delle donne che delle persone in generale. Se siamo il Paese d’Europa con la più alta disoccupazione giovanile è anche perché siamo il Paese che ha l’età pensionabile più elevata dell’Ue e allo stesso tempo abbiamo il lavoro più precario per effetto del Jobs Act, grazie al quale a un’impresa costa meno licenziare che non ricorrere agli ammortizzatori sociali. Questo, e lo vediamo in tantissime vertenze in corso, dall’Ilva alla Ericsson, dalla Perugina alla Honeywell, sta provocando un aumento indiscriminato dei licenziamenti. Quindi, chiediamo che ci sia un cambiamento radicale delle attuali politiche. Così come dobbiamo dare lavoro ai giovani e ridurre la precarietà, investendo sull’apprendistato come forma di lavoro che coniuga la formazione e il lavoro, superando stage e tirocini e le tante forme di sfruttamento esistenti. Nel contempo c’è bisogno di una ripresa degli investimenti pubblici, in particolare su scuola, università e ricerca, dicendo stop ai tagli, in primis quelli alla sanità, che a oltre 11 milioni di persone non garantiscono più il diritto primario alla salute”.