“La riforma fiscale va fatta diminuendo il carico sui lavoratori e le imprese che tengono in piedi questo Paese».
Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, insiste sulla necessità di «abbassare le tasse» e sulla possibilità di «spostare il peso sulle cose. Si può fare a parità complessiva di pressione, aumentando gradualmente l'Iva. I soldi incassati si usino per abbassare l'Irpef sui lavoratori e diminuire i costi del lavoro sull'Irap» per le imprese. Un prelievo fiscale, insomma, che avvantaggi capitale e lavoro, svantaggi il consumare. Sorbole!
Ma se l’insufficienza del reddito che retribuisce il lavoro fa il paio con la sovraccapacità di offerta delle imprese nello zavorrare la crescita e, se l’unica funzione attiva nel meccanismo della crescita risulta quella di consumazione che genera i due terzi del Pil, risulta lecito tassare questo esercizio? Proprio lì, dove si consuma, c’è valore da estrarre per far si che si possa tornare poi ad investire, produrre, creare lavoro, distribuire reddito, proprio lì si insinua il fisco?
C’è chi sostiene: detassare Irap ed Irpef racimola competizione sui costi per le imprese, capacità di spesa per chi lavora quando acquista. Non mi è dato sapere se e quanto, per questa via, possa aumentare la capacità delle imprese di stare sul mercato; per il lavoro dipendente, si dice in giro, che nel migliore dei casi riducendo l’Irpef, aumentando l’Iva si farà una operazione a somma zero.
C’è ancora una chicca: la capacità di consumare degli individui, è noto, risulta inversa alla capacità di spesa. Chi guadagna meno, insomma, spende percentualmente più di chi ha più. Aumentare l’Iva sugli acquisti tassa meno chi ha più; più chi ha meno. Per questa via si viola pertanto il precetto costituzionale che regola la progressività del prelievo fiscale in rapporto al reddito disponibile; si riduce ancor di più la capacità di spesa di chi ha meno: non è un bel sentire, ancor meno un bel fare!
Mauro Artibani
Chi tiene in piedi questo paese?
Riceviamo e pubblichiamo
28 giugno 2011 • 00:00