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“Se dovessimo prospettare oggi il futuro di un giovane nel mercato del lavoro, è questo: inizia con un periodo di lunga disoccupazione fino al colpo di fortuna di qualche impiego precario non si per quanto tempo. Se va bene, a quarant'anni trova un contratto a termine che però, per effetto del decreto Poletti, sarà rinnovato per altri tre anni. Se poi ha un altro colpo di fortuna incredibile, allora otterrà finalmente il famoso contratto a tutele crescenti e quindi sarà licenziabile quando si vuole. E nella vecchiaia, per effetto della 'Fornero', la pensione non sarà nemmeno degna di questo nome”. A dipingere il quadro è Nino Baseotto, segretario confederale della Cgil, intervistato da RadioArticolo1 (qui il podcast), ricordando i motivi dello sciopero generale dello scorso 12 dicembre.
Motivi che, evidentemente, spingono la Cgil a proseguire nella protesta. Non con uno sciopero al mese, certo, ma in tutte le forme a disposizione del sindacato, anche perché il governo approverà il prossimo 22 dicembre i primi decreti che metteranno nero su bianco la delega incassata con il Jobs Act. "Farebbe bene Renzi - osserva Baseotto - a uscire dallo schema inconsistente dei veti e ad ascoltare le istanze del mondo lavoro e dei pensionati. L'appello fatto dal Presidente della Repubblica a discutere pacatamente è indirizzato a tutti, certo, ma ha un preciso destinatario, cioè colui che può riaprire il dialogo. Noi - ricorda il sindacalista - abbiamo scioperato per influenzare le scelte e per chiedere un cambiamento significativo. Vediamo cosa deciderà il governo: se sarà sordo alle richieste dello sciopero, però, metterà a rischio il patrimonio di fiducia che ha gli elettori e i cittadini”.
Lo sciopero del 12 dicembre, osserva il dirigente sindacale, ha superato le aspettative, un fatto che dovrebbe far riflettere tutti gli attori in campo. “Tutte le volte che ci mobilitiamo negli ultimi tempi, i lavoratori ci costringono a rispondere che non ci aspettavamo così tanta gente in piazza (come è accaduto il 25 ottobre a San Giovanni, ndr) e adesioni così alte. Evidentemente - osserva l'esponente della Cgil - c'è una voglia di cambiamento, di avere risposte e di essere ascoltati che travalica i confini tradizionali della rappresentanza sindacale e incrocia altri strati della società. Questo non è solo motivo di soddisfazione per noi, ma uno stimolo a cambiare e ad essere più capaci di innovare”. Quanto ai rapporti con la Cisl, “lavoriamo per recuperali, mi auguro sia così”, aggiunge Baseotto: “Si deve uscire dagli stereotipi del passato, non ha senso dire 'non partecipiamo se si decide senza di noi'. Si decide in ragione dei fatti, della crisi, delle scelte del governo e della politica economica, il problema non è chi decide per primo”.
Ancora a proposito del governo, si parla di un incontro tra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e i sindacati in calendario per il 19 dicembre, dunque a giochi fatti sul Jobs Act. “Come Cgil - osserva Baseotto - noi crediamo da sempre nel confronto. Ma se l'esecutivo decide oggi cose che riguardano milioni di lavoratori senza discutere con chi li rappresenta, chi gioisce per l'esclusione sindacato sappia che rischia di essere domani vittima di questa stressa logica. Il governo dimostra di disprezzare i corpi intermedi, non si confronta, oppore lo fa quando sa che l'interlocutore è d'accordo, sembra la pubblicità 'ti piace vincere facile'”.
L'altro tema nel mirino della Cgil è la legge di Stabilità, di certo non 'espansiva' come è stato sbandierato da Palazzo Chigi. In particolare ballano i i posti di lavoro delle Province: “Un margine per fare marcia indietro su questo ci potrebbe essere, basta ragionare su come e dove si vogliono spostare le importanti funzioni svolte dalle Province che finiranno in un limbo, come per esempio l'orientamento nel mercato del lavoro. Qui siamo al paradosso: migliaia di persone rischiano il posto e allo stesso tempo si lasciano i giovani privi di un riferimento nello Stato. È senza senso non discuterne con noi, così come è priva di senso l'idea del tagli ai patronati che evadono ogni anno 50 milioni di pratiche per lavoratori e pensionati, italiani e stranieri. Notiamo molta ignoranza in questo. Alla fine - conclude Baseotto - l'ossessione di colpire i corpi intermedi si traduce nel colpire milioni di persone”. (mm)