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''Abbiamo rappresentato in un documento l'urgenza di una presa di posizione da parte degli amministratori al fine di far partire la lotta allo sfruttamento lavorativo''. A dirlo è Lorenzo Pancini, della Cgil di Prato: ''È noto che sul territorio pratese, da anni, migliaia di imprese del manifatturiero, del trasporto e della logistica, del terziario e dell'agroalimentare, a conduzione cinese ma non solo, operano al di fuori di regole e normative. Un sistema che ormai è legato a interessi locali anche di italiani, per l'affitto del capannone industriale, per la fornitura di servizi legali, di contabilità e fiscali e di collegamenti nei processi produttivi con le aziende italiane. Un macro-fenomeno sociale la cui risoluzione non può essere lasciata al solo intervento repressivo".
Pancini evidenzia che la questione "necessita di un approccio di sistema che coinvolga tutte le forze sociali, economiche e statali responsabili del buon andamento produttivo e del rispetto dei diritti. C'è la necessità di interventi che vadano in profondità e che non siano estemporanei e parziali". Secondo la Cgil, oltre 70 sono le vertenze individuali e 60 le imprese interessate nel 2019 dallo sfruttamento lavorativo, mentre oltre 240 sono le azioni di recupero crediti per stipendi arretrati non pagati e generalmente riscossi tramite ingiunzioni di pagamento, ovvero senza esporre i lavoratori a conflitti di strada e a multe irragionevoli. ''Il Progetto Lavoro sicuro della Regione Toscana - riprende il sindacalista - ha migliorato i livelli di sicurezza e impedito il pernottamento nei capannoni, ma non ha cambiato il modello produttivo del sistema illegale, costituito da aziende di pronto moda che commissionano il lavoro a terzi (tintorie, stamperie e laboratori di confezione) i quali sfruttano personale completamente in nero o assunto con falsi part time''. Secondo il sindacalista si tratta di persone che lavorano fino a 14 ore al giorno, sette giorni settimanali, per 800-1.000 euro mensili, il che vuol dire 2-3 euro per ora lavorata.