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Grande confusione in Parlamento sul decreto Lavoro del ministro Polettti, con posizioni che sembrano lontane all’interno della maggioranza e l’insoddisfazione degli stessi sindacati. “Una discussione così complessa sarebbe dovuta essere svolta in un percorso più ragionato, quello della legge delega piuttosto che del decreto, ma su questo il governo non ha inteso ragioni”. Così Nicola Marongiu, responsabile dell’area Welfare della Cgil nazionale, nel corso del suo intervento a Radioarticolo1 nella trasmissione “Italia Parla” (qui il podcast). Sul testo, al netto degli annunci di modifica, il giudizio della Cgil è chiaro: è vero che “l’intervento in commissione – dice Marongiu – qualche miglioramento lo ha prodotto, per esempio sull'apprendistato con il riferimento ai piani formativi individuali e a piani comuni definiti dalla contrattazione collettiva nazionale. Ma non si è risolta la questione delle stabilizzazioni, dove si è alzato il tetto per le imprese che hanno l'obbligo di assumere dai 10 ai 30 dipendenti, e ridotta la percentuale delle conferme dal 50 al 20%. E poi rimane tutto intero il problema dei contratti a termine: secondo noi deve essere reintrodotta la causale oltre il primo contratto che deve essere prorogabile per una sola volta”.
In ogni caso, spiega il dirigente Cgil, “il governo dovrebbe mettere uno stop al provvedimento e visto che la discussione sul ddl 1428 (il jobs act, ndr) inizia oggi, sarebbe bene far confluire la discussione sul decreto all'interno di un riordino complessivo delle tipologie contrattuali”. D’altro canto, il decreto mostra problematicità anche rispetto all’Europa, tante volte invocata e non sempre a ragione: “L’Europa si era posta il problema di limitare attraverso specifiche normazioni l'abuso nel ricorso ai contratti a termine. Nel '99 fu raggiunto un accordo fra la confederazione europea dei sindacati e le associazioni datoriali, accordo che poi è diventato una risoluzione europea che è stata recepita nell'ambito dei diversi Stati membri e che in particolare si concentra sugli abusi e sulle ragioni oggettive che determinano il ricorso ai contratti a termine. Secondo noi in alcune parti i contenuti del decreto confliggono appunto con questa normativa”.
Quanto al jobs act, per il sindacalista “il governo ha voluto ipotizzare un intervento molto ampio sui temi del lavoro. Si può dire che un intervento di così vasta portata per noi era assolutamente necessario. Quasi contestualmente all'uscita della proposta il governo ha perfezionato una serie di nostre proposte su temi che sono paralleli a quelli contenuti all'interno del ddl: formazione professionale, servizi per l'impiego, riordino delle tipologie ammortizzatori. Poi, certo, occorre capire attraverso quale segno si intende intervenire: per esempio a noi non soddisfa il fatto che sembrerebbe introdursi una limitazione all'utilizzo della cassa integrazione. La stessa estensione dell'Aspi, per la disoccupazione involontaria, avviene rimodulando le risorse attualmente disponibili articolandole differentemente per le prestazioni”. Sulle tipologie contrattuali, invece, “si introduce un ragionamento legato all'esigenza di inserimento di una nuova tipologia, il cosiddetto contratto a tutele crescenti, che però a nostro giudizio sarà fortemente condizionato nella sua possibilità di utilizzo da quanto previsto in riferimento ai contratti a termine e nello stesso ddl delega si fa un ragionamento sull'innalzamento del valore dei voucher, cioè del cosiddetto lavoro accessorio, occasionale, discontinuo”.
Per Marongiu, insomma, manca “una coerenza di fondo e l'elemento omogeneo che è riscontrabile in alcuni di questi interventi è l'obiettivo di una liberalizzazione delle forme contrattuali e la possibilità di una concorrenza fra le stesse che ovviamente non è l'aspetto ideale delle regolazione delle dinamiche del mercato del lavoro”. Infine, un riferimento al metodo: “Il disegno di legge delega non ha avuto nessuna consultazione con le parti sociali; il governo dice che nella disponibilità del ministero c'erano già i pareri e gli orientamenti delle organizzazioni sindacali e datoriali. Noi però pensiamo che il percorso parlamentare può essere un elemento che mette in evidenza i punti di vista e anche la ricerca delle soluzioni maggiormente condivise.