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Scarso impegno delle aziende in materia di sicurezza, insufficiente conoscenza dei propri diritti da parte dei lavoratori, rapporti gerarchici troppo spesso orientati alla svalutazione dei sottoposti. Ma soprattutto grande fragilità delle lavoratrici, rispetto ai colleghi uomini, a causa di carichi di lavoro eccessivi, cui va sommato il “lavoro a casa” (come la cura dei figli o di conviventi e familiari disabili), con un aggravio quindi di stress e di possibili patologie psichiche. A dirlo è la ricerca “Le malattie professionali in un’ottica di genere nelle aziende della provincia di Padova” (scarica il pdf), realizzata dal Coordinamento donne della Cgil di Padova, in collaborazione con l’Inca Cgil di Padova.
L’indagine ha coinvolto, mediante questionario, 559 lavoratori (65 per cento donne) di aziende pubbliche, private e no-profit dei più diversi settori. Ha poi diviso il campione in quattro profili: tutti i 559 lavoratori; tutte le 364 lavoratrici; le 231 lavoratrici con impiego fisico/manuale; le 133 lavoratrici con impiego intellettuale. Obiettivo dello studio è verificare l’entità del disagio lavorativo e le condizioni di tutela e conoscenza da parte dei lavoratori degli strumenti previsti dalle normative, offrendo a Rsu e Rls strumenti utili sia per approfondire la valutazione dei rischi sia per migliorare le condizioni di lavoro nelle aziende mediante la contrattazione di secondo livello.
Il primo dato evidenziato dalla ricerca è lo scarso impegno delle aziende in tema di sicurezza: il 53 per cento degli intervistati non vede azioni tangibili, una quota che arriva al 67 se consideriamo soltanto le lavoratrici con impiego manuale (che sono, tra l’altro, quelle a maggior rischio). Un’attenzione che, ad esempio, le aziende non pongono al rapporto tra superiori gerarchici e dipendenti: il 62 per cento degli intervistati (e il 71 delle lavoratrici con impiego manuale) giudica mediocre o pessimo il comportamento dei superiori, mentre il 39 per cento delle donne è vittima di svalutazioni verbali tese a umiliarle. La ricerca è molto vasta, è quindi impossibile riportare tutti i dati, per i quali rimandiamo alla consultazione dell’indagine completa. Possiamo solo ricordare alcuni dei singoli temi trattati: i disturbi fisici (mal di testa, nervosismo e dolori muscolari, in primis), le assenze dal lavoro (che per il 40 per cento degli intervistati sono dovute al lavoro che si svolge), le parti del corpo più colpite dai disturbi osteo-articolari (tra le donne prevale la zona lombare).
L’indagine poi affronta la questione delle malattie professionali. Il 66 per cento del totale degli intervistati (e il 77 delle lavoratrici) dichiara di essere a rischio di infortuni e malattie professionali. Un rischio, però, che non è ancora stato completamente compreso: ben il 60 per cento delle lavoratrici dice di essersi assentata dal lavoro a causa della patologia sofferta a carico delle parti del corpo maggiormente coinvolte nel proprio lavoro, usufruendo semplicemente della copertura previdenziale Inps. In ultimo, la ricerca evidenzia come ci siano tuttora carenze sul piano dell’informazione e dell’esigibilità dei propri diritti: il 46 per cento degli intervistati non sa che chi subisce infortuni o gli viene riconosciuta una malattia professionale può richiedere il risarcimento del danno differenziale, mentre il 57 per cento non sa che può presentare all’Inail il primo certificato di sospetta malattia professionale.