Il lavoro non è solo e può, anzi deve salvarsi. È questo il messaggio che la Cgil lancia all’Italia da Piazza San Giovanni, a Roma, in occasione della manifestazione del 20 ottobre. Una manifestazione inusuale, organizzata dal sindacato senza cortei ma dando voce e volto alle crisi dell’economia italiana attraverso gli interventi dei lavoratori dal palco, insieme gli stand delle strutture di categoria e regione che nella piazza illustravano il bollettino di guerra del lavoro.

"La nostra piazza dimostra che i lavoratori non sono soli ad affrontare i problemi del lavoro – ha detto il segretario generale Susanna Camusso chiudendo la manifestazione -. Oggi abbiamo raccontato tante storie, tutte differenti, ma accomunate da una grave ingiustizia: un paese che fa provvedimenti che non aiutano il lavoro - aggiunge Camusso -. Salire sulla gru è l'unico modo per far parlare di lavoro in questo paese, e questo non è giusto. Guardate questa piazza: ci sono tutti i lavoratori in pericolo, chi ha perso il posto, gli esodati. Lavoratori che hanno un unico desiderio, poter lavorare e vivere una vita tranquilla".

"Molti lavoratori hanno dovuto ritirare i figli dall'università: la perdita del lavoro per loro rappresenta una perdita di speranza. Per una scelta sbagliata del governo, molti lavoratori hanno visto tagliarsi gli appalti e i posti di lavoro": Lo afferma il segretario della Cgil dal palco di piazza San Giovanni. "C'è gente che lavora ed è povera, perché sono stati tagliati i salari e allungati gli orari. Con il risultato devastante che abbiamo oggi - aggiunge - non c'era bisogno di mettere 'professori' al governo".

Le aziende in crisi
"Non c'è modo di salvare il paese se non si salva il lavoro. Va curato occupandosi della condizione dei lavoratori", ha detto Camusso aggiungendo che "la politica del rigore e dell'austerità è fallita. E' il grande colpevole delle difficoltà di questo paese. Se il governo pensa di condizionare il paese per il futuro, sappia che noi non siamo d'accordo e glielo impediremo”. "Le cosiddette aziende 'in crisi' non si possono buttare via – ha proseguito Camusso -. Le aziende sono in crisi perché si sono sbagliate le politiche, si è scelto di investire in finanza invece che sulla produzione e sull'industria. Pensiamo al Sulcis, ai call center del Nord e Sud: bisogna smetterla con una responsabilità indistinta, la responsabilità è di chi non ha investito e dei governi, che hanno guardato da un'altra parte. Oggi è il tempo di scegliere, perché quelle aziende rischiano di chiudere. Se aspettiamo ci sarà qualche speranza di meno, e non si può privare il lavoro di speranze e prospettive. Per salvare il paese bisogna garantire lavoro e diritti, solo così si può dare futuro e prospettiva al paese".

La spending review
Per quanto riguarda il settore pubblico, "la spending review non mette a posto i conti dello Stato, fa solo licenziamenti di massa. Basta poco per capire gli effetti dei tagli: il governo non pensi di tagliare gli ammortizzatori sociali e ridurre le risorse. L'esecutivo ha fatto una riforma delle pensioni sbagliata, che ha penalizzato tanti lavoratori. La legge sulla spending review è un'ulteriore ingiustizia, perché stabilisce regole diverse per alcuni. Si reintroduca il falso in bilancio per le imprese, si faccia una legge seria contro la corruzione: su questo si dovrebbe mettere la fiducia". Camusso fa quindi una proposta: "Usare le risorse per defiscalizzare l'assunzione a tempo indeterminato di giovani uomini e donne".

Il caso Ilva
"Non si può contrapporre lavoro e salute. Vogliamo dire all'Ilva di Taranto che non ha più scuse: deve applicare l'Aia (autorizzazione ambientale, ndr) definita dal governo. Ora deve ridare ai lavoratori e alla città una condizione lavorativa positiva". Poi sula Fiat: "Ieri c'è stata una buona notizia: la sentenza di Pomigliano ha deciso che i lavoratori iscritti alla nostra organizzazione devono tornare al lavoro. La sentenza è importante perché stabilisce un principio preciso: non assumere un lavoratore per la sua scelta sindacale è discriminazione. Lo abbiamo sempre sostenuto: la questione alla Fiat riguarda la libertà del lavoratore di decidere a quale sindacato aderire".

Detassare le tredicesime
Camusso ha invitato il governo a reintrodurre il falso in bilancio: "Solo così si riapre la lotta contro le tangenti e la corruzione". Inoltre "Le leggi sulle pensioni e il lavoro di questo governo hanno peggiorato le condizioni rendendo difficile la situazione anche per le imprese". "Il governo vuole discutere delle retribuzioni dei lavoratori, ma loro non conoscono una media retributiva tra 1.000 e 1.200 euro, senza contare che i cassintegrati prendono molto meno. A tutti loro non si può aumentare l'Iva, perché ancora una volta si vanno a colpire i consumi. I ministri facciano una misura semplice: detassare la tredicesima. Il paese non si cambia punendo i lavoratori, prima si parte dai vertici e si mette a posto ciò che non funziona. Non si chiede responsabilità a chi sta alla catena di montaggio tutti i giorni, ma a chi gestisce la fabbrica o organizzato quel servizio. Vorremmo che qualche tavolo del ministero dello Sviluppo abbia una risposta, non continui rinvii: per esempio, il 3 novembre non si possono spegnere i forni dell'Alcoa, serve una risposta. Le ragioni della discussione non possono essere intorno al demansionamento. Il governo abbia il coraggio di riconoscere che la legge sulle pensioni ha reso più difficile affrontare i problemi. I ministri ogni tanto hanno cadute di stile straordinarie, come quando danno responsabilità a tutti e non al governo".

14 novembre in piazza
"C'è una parte del paese che non si arrende – ha concluso Camusso -, quella parte che oggi è in piazza e continuerà a tornarci. Il 14 novembre c'è una grande manifestazione con tutti i sindacati europei. Non ci rassegniamo, questo paese lo cambieremo".

LE STORIE DAL PALCO
Il laureato di Napoli: noi precari siamo invisibili
E' salito sul palco di San Giovanni Antonio Falanga, laureato e precario di Napoli. "IL governo dice di fare una riforma per giovani, invece aumenta l'età pensionabile e le forme di schiavitù", queste le sue parole. "L'unica nostra possibilità rimane lo stage: ma quando entriamo in un'azienda, presto capiamo non siamo lì per apprendere o entrare nel sistema produttivo. Poco dopo veniamo cestinati e arriva un altro giovane nelle nostre stesse condizioni. Sono invisibile perché precario - ha detto Falangia -. In questo momento sono disoccupato. Se avessi un contratto a progetto non potrei partecipare a una manifestazione sindacale, perché verrei licenziato. Non ho diritto a malattia, ferie, eleggere le rappresentanze sindacali. Se avessi un figlio, non avrei il diritto alla paternità. Noi precari sul posto di lavoro non esistiamo", ha concluso.

Lavoratore abbigliamento: c'è lo spettro della disoccupazione
Marino D'Andrea, Rsu della Sixti di Chieti. "Siamo centinaia di lavoratori della moda e dell'abbigliamento che vedono davanti a loro lo spettro della disoccupazione. La Sixti è una multinazionale della moda che da 22 anni sta sul nostro territorio e da qualche tempo ha intrapreso una politica fatta di speculazioni finanziarie, immobiliari, delocalizzazioni. Questa nuova strategia ha coinciso con il suo declino industriale e con l'accumularsi di debiti, fino agli attuali 300 milioni di passivo. In pochi anni si sono persi 200 posti di lavoro. A luglio scorso il gruppo è stato venduto a una società asiatica con sede alle isole Cayman". "Oggi si parla di chiudere la Sixti e di aprire una newco con non si sa quanti lavoratori e una decina di negozi in tutto: così si perderebbero 600 posti di lavoro, per non parlare dell'indotto. Tutto ciò sarebbe una tragedia non solo per noi lavoratori, ma anche per la produzione di un marchio, che fino a qualche anno fa era prestigioso, e per tutto il made in Italy. Stiamo andando verso il baratro, senza che nessuno, a cominciare dal governo, intervenga. Da ricchezza e benessere siamo passati alla disoccupazione e alla desertificazione industriale. Se si lasciano morire aziende che hanno fatto la storia del paese, se si lasciano depauperare capacità e professionalità, come facciamo a ripartire? Come possono essere ritenute lecite operazioni in paradisi fiscali con la complicità di banche e società finanziarie di cui non si sa nulla? Nel nostro territorio vi sono attualmente 6.000 lavoratori in mobilità, 50.000 in cig e altre migliaia in cerca di lavoro o disoccupati tout court. Ci restano poche possibilità per risollevarci. Il nostro presidio permanente davanti all'azienda dura da 341 giorni e siamo fermamente intenzionati a continuare".

Rsu Teleperformance: nei call center grande sofferenza
"La mia azienda si è stabilita a Taranto nel 2005, una zona in cui il lavoro è un miraggio". Il racconto è di Andrea Lumino, Rsu di Teleperformance sul palco a San Giovani. "Quando abbiamo aperto sono arrivati migliaia di curriculum, non solo di giovani, per una paga di 4,65 euro l'ora. Ecco come vede oggi la realtà un giovane della mia città: migliaia famiglie di lavoratori sono all'esasperazione, ci sono duemila persone, con età media tra 25 e 30 anni, che hanno creduto nel miraggio delle stabilizzazioni". "Nei call center abbiamo uno stipendio di 800 euro e ci chiamano 'bamboccioni' - ha spiegato Lumino -. Dobbiamo uscire dall'immaginario che vede il lavoratore del call center come "lo scemo di turno" che disturba le persone al telefono. Al contrario, sono giovani in crisi che hanno accettato di lavorare in un call center: c'è grande sofferenza, Teleperformance è alla quarta dichiarazione di esuberi negli ultimi 3 anni. Ogni giorno c'è il terrore di perdere il posto di lavoro".

Delegato Rsu Ast di Terni: le acciaierie non si toccano
"In Umbria ci sono 30mila cassintegrati, è la seconda regione per aumento di cig, dietro soltanto alla Sicilia". Lo dice Stefano Garzogna, delegato Rsu della Inoxum Ast, Umbria. "Anche quest'anno migliaia di lavoratori perderanno il posto in tutti i settori: dai trasporti all chimica ai metalmeccanici, tantissime sono le vertenze aperte. Io sono qui a testimoniare la rabbia dei lavoratori delle acciaierie di Terni (ex Thyssen): la multinazionale finlandese Outokumpu ha presentato un progetto che mette in discussione l'unitarietà dell'impianto. Da operaio e delegato delle acciaierie, voglio lanciare un appello: la siderurgia nel nostro paese versa in un drammatico stato di abbandono, il governo deve trovare una soluzione per il rilancio immediato". "L'acciaieria di Terni - spiega Garzogna - è una delle industrie più importanti d'Italia, ha 120 anni di storia e ha fatto grande il settore. L'Ast di Trni rappresenta il 20% del Pil umbro, siamo un sito siderurgico all'avanguardia, i nostri prodotti sono fiore all'occhiello nel settore dell'acciaio. Oggi c'è una vertenza nazionale per condurre la vendita e mantenere unito l'impianto. La Cgil è stata chiara: a Terni non si toccherà neanche un bullone".

Basilicata, il distretto del mobile sta crollando
Michele Carella, della Nicoletti spa, appartenente al distretto del mobile imbottito della Basilicata: "Stiamo vivendo una crisi senza precedenti, che nella mia regione, la Basilicata, ha avuto e sta avendo effetti devastanti. Tante aziende hanno già chiuso i battenti, e quelle rimaste vanno avanti a fatica. Penso anche alla Fiat di Melfi, dove, oltre alla crisi, ci si è messo anche Marchionne. Il distretto del mobile imbottito ha portato nel corso del tempo tanta ricchezza nella provincia di Matera. La mia azienda, la Nicoletti, era un'azienda leader,un amrchio famoso in tutto il mondo, crollato come un castello di carta in poco tempo, sotto i colpi della crisi. Dichiarata fallita nel 2008, e con essa 480 dipendenti sbattuti in mezzo alla strada nell'incertezza del futuro. Come la mia, tante altre aziende hanno fatto la stessa fine. E tanti lavoratori, come me, di mezz'età, sono ora disoccupati, perché troppo vecchi per trovare un altro lavoro e troppo giovani, grazie Fornero, per accedere alla pensione. Il governo dei professori non ha portato né ricchezza né stabilità, e anzi ha intaccato anche lo Statuto dei lavoratori. Stiamo andando verso il disastro più assoluto, con una continua emorragia di posti di lavoro in tutta la regione. Sono passati dieci anni da quando si è iniziato a parlare di accordo di programma dell'area murgiana: sarebbe stata un'opportunità di rilancio per quella zona, ma lo stiamo ancora aspettando. Da parte nostra, come lavoratori della ex Nicoletti, continueremo a lottare per il futuro delle nostre famiglie e dei nostri figli, per tutti noi 300 lavoratori altamente specializzati".

Dalla Menarini alla Ginori, le vertenze di chimici e tessili
I lavoratori della Menarini - che hanno scioperato ieri in tutta Italia per dire no ai ricatti sul lavoro che mettono a repentaglio vite e speranze di tante famiglie. La vertenza della Richard Ginori, la storica manifattura di Sesto Fiorentino con 320 lavoratori in cassa integrazione per cessazione di attività e l'azienda in attesa di liquidazione. E, ancora, la vicenda della Siena Biotech, all'avanguardia nella ricerca sulle malattie neurovegetative che ha annunciato la cassa integrazione, mentre la qualità e l'importanza della propria attività è da anni riconosciuta a livello internazionale. Queste alcune delle vertenze simbolo portate a Roma dalla Filctem Cgil, la categoria della dei chimici e tessili della Cgil che ha oltre 233.000 iscritti.

Lavoratrice Marche: a Pesaro 3mila posti a rischio
Dalle Marche è salita sul palco Sabina Pianosi, Rsu della Berloni di Pesaro che opera nel settore dei mobili, per raccontare la crisi della sua azienda. "Abbiamo galleggiato per anni su interventi strutturali mai arrivati. Nel 2011 abbiamo aspettato che le banche approvassero il piano di ristrutturazioni. Poi abbiamo iniziato con la Fillea una lotta per riaprire gli stabilimenti chiusi e reimpiegare i lavoratori mandati a casa". Pianosi quindi prosegue: "Col tempo l'azienda non ha migliorato la situazione debitoria, anzi l'ha peggiorata: qualche giorno fa ha fatto richiesta di concordato mettendo a rischio il posto di 370 lavoratori. Una situazione che produrrà gravi ripercussioni su tutto l'indotto, sono 3mila i lavoratori a rischio". "Lo scenario è tragico - a suo avviso -: l'azienda non riesce a pagare gli stipendi e probabilmente verrà venduta. Ora stiamo lottando per tentare di far restare l'azienda nel territorio di Pesaro. Bisogna aprire un confronto contrastando le scelte non condivise, gli strumenti a disposizione finora non hanno migliorato la situazione. Perdere un posto di lavoro - anche se sempre meno pagato - significa cercare soluzioni individuali o compiere gesti eclatanti. Il governo rimetta il lavoro prima di tutto, tutta la piazza lo chiede", ha concluso.

Lavoratore di Campobasso: noi, vittime di speculazioni
Mariano Russo del gruppo Arena holding Solagrital di Campobasso, sul palco di piazza San Giovanni: "Da tempo, la nostra regione è vittima di speculazioni di ogni tipo da parte soprattutto dei politici locali. Noi operai la nostra parte l'abbiamo sempre fatta e i nostri prodotti sono sempre stati apprezzati ovunque. Siamo vittime di una speculazione gigantesca, con la complicità della stessa Regione Molise, che è tra i principali responsabili del nostro tracollo finanziario. Non vogliamo essere assistiti, chiediamo rispetto e di poter continuare a fare il nostro lavoro". "Chiediamo una politica giusta e partecipata. Purtroppo, ultimamente il Molise è stato citato per uno sperpero cospicuo di danaro pubblico, che ha provocato chiusure di fabbriche e conseguente perdita di posti di lavoro, che hanno distrutto l'immagine di un popolo onesto. Da giorni, siamo in presidio permanente davanti alla Prefettura di Campobasso. Oggi chiedo alla Flai, al mio sindacato, che si faccia promotore dell'apertura delle trattative per il destino della Solagristal e di tutto il gruppo Arena. Non ci rassegniamo alla perdita del lavoro, che rappresenta la nostra vita e il modo migliore per vivere con dignità e onestà"

Lavoratrice Mercatone Uno, flessibili a qualunque costo
In mattinata sul palco di piazza San Giovanni anche Chiara Millo, dipendente della Mercatone uno di Monfalcone in Friuli Venezia Giulia, presente in Italia con oltre 90 punti vendita. "Da oltre un anno la riorganizzazione del lavoro da noi si chiama flessibilità e fungibilità. Questo, per poter tenere il passo della concorrenza e per non perdere terreno, ci raccomandano i responsabili del gruppo. Sono le due nuove parole d'ordine del commercio in tempi di crisi: perciò siamo costretti a lavorare anche a Ferragosto, perché così risolleviamo le sorti del mercato. Oppure il 25 aprile, perché qualche cliente potrebbe venire a comprare proprio quel giorno lì. O addirittura il 1 maggio, magari c'è qualcuno che desidera acquistare magari una scopa elettrica". "I veri servizi essenziali sono diventati nella nostra società i centri commerciali: per questo noi dipendenti dobbiamo lavorare sette giorni su sette, dobbiamo essere sempre disponili, festivi e straordinari compresi. Molti di noi sono diventati prigionieri di un part time, che prima li tutelava e ora invece gli rende la vita davvero invisibile. Il mondo del commercio è diventato tutto questo. Malgrado ciò, Cisl e Uil hanno firmato di recente un contratto nazionale palesemente peggiorativo della nostra condizione e dei nostri diritti, che la Cgil non ha voluto firmare e non firmerà mai. Il nostro è un mondo apparentemente magico, pulito, asettico, con l'aria condizionata d'estate e ben riscaldato d'inverno. Siate sempre umili e servili con i clienti, comunque vada e qualunque sia la loro richiesta: solo questo ci chiedono alla direzione commerciale, tutto il resto per loro non ha importanza".

Lavoratrice Emilia Romagna: stiamo rialzando la testa
Sul palco Sabrina Vaccari, lavoratrice del biomedicale nell'area sisma dell'Emilia Romagna. "Vengo dalla provincia di Modena - spiega -. Negli anni i settori produttivi sono stati investiti da notevoli processi di crisi e ristrutturazione. Poi c'è stato il terremoto del maggio 2012, un evento sismico che ha cambiato la vita di tutto il territorio: abbiamo dovuto piangere 26 morti, molti dei quali erano tornati al lavoro dopo il sisma". L'Emilia però "è un territorio di grande coesione sociale: un territorio che produce il 2% del Pil italiano. Dal terremoto sono trascorsi 5 mesi, la produzione è stata compromessa, sono crollati scuole e municipi, si è indebolito il servizio socio-sanitario. I numeri parlano da soli: ci sono 14mila lavoratori in cassa integrazione, 40mila persone non possono far rientro a casa". "Ora i riflettori si stanno spegnendo - continua Sabina Vaccari -, il distretto del biomedicale emiliano sta riprendendo coscienza della sua forza, coesione sociale e laboriosità: siamo consapevoli che dal nostro operato dipende la qualità della vita di molte persone. Si sta provvedendo alla garanzia della sicurezza nei luoghi di lavoro, diritto fondamentale della persona. La produzione sta progressivamente riprendendo. Emergono anche alcune contraddizioni: le aziende aumentano la capacità produttiva per rispondere alla richieste del mercato, chiedendo così una flessibilità estrema dell'orario di lavoro, in violazione dei diritti. C'è il rischio di delocalizzazioni della produzione o di una parte delle imprese". I lavoratori colpiti dal sisma stanno rialzando la testa. "Ci siamo tirati su le maniche, ma non ce la facciamo da soli - ha concluso -: occorre il contributo di tutti, governo, istituzioni, imprese e lavoratori. Chiediamo le risorse necessarie per ripartire, solo così l'Emilia rifiorirà più forte di prima, insieme a tutto il paese".

Lombardia, il racconto della bancaria: 4.600 esuberi
Dalla Lombardia arriva la testimonianza di Michela Trento, delegata Rsu del Monte Paschi di Siena. "Ho visto svanire la certezza del posto di lavoro. La nostra banca ha messo 4.600 lavoratori in esubero, tra cui molti da esternalizzare. Abbiamo capito che l'esternalizzazione significa 'vendere' un lavoratore a un'altra società, ovvero è l'inizio del precariato. La mia banca è ridotta così male per l'operato dei banchieri, la cui attività è oggetto di indagine della magistratura. I nuovi banchieri non sono migliori: hanno rifiutato tutte le nostre proposte, vogliono renderci più precari e ricattabili, non si fanno scrupolo di screditare lavoratori e sindacato. Negli ultimi mesi molti banchieri hanno anche tentato di stracciare il nostro contratto nazionale, appena firmato".

Lavoratore supermercato: abbiamo 3 stipendi arretrati
Vincenzo Davide Coco è un delegato sindacale della Aligrup del gruppo Despar di Catania. “Lavoro nella grande distribuzione commerciale, in un territorio, la provincia di Catania, che vanta la più alta percentuale di supermercati, ipermercati e discount d’Europa. Perciò, ritenevo che non sarei mai stato in difficoltà, per quanto riguarda l’occupazione: invece, oggi ci sono 1.500 posti di lavoro diretti e altri 4.000 nell’indotto, tutti a rischio, per quanto riguarda il mio gruppo. E la crisi in cui versa la mia azienda aggraverà ulteriormente la situazione della mia provincia, dove già disoccupazione e cig sono ai massimi livelli. Dopo otto mesi di trattative siamo ancora al nulla di fatto". "A ciò, aggiungiamo il comportamento poco consono dei commissari liquidatori. Parlano solo a mezzo stampa, ignorando i sindacati. Per giunta, la Coop è entrata nel negoziato, creando uno spezzatino che farà perdere il 50 per cento dei posti di lavoro. La Filcams ha messo in campo tutte le proprie forze. Purtroppo i nostri sforzi sono serviti a poco: abbiamo tutti i supermercati della catena vuoti e dobbiamo ricevere tre mensilità di stipendio arretrate. In 1.800 abbiamo manifestato sotto la Prefettura di Catania il 16 ottobre. Continuiamo a batterci per una vita onesta e dignitosa”.

Porto di Genova, “la nostra dignità è crollata”
Francesca Botto sale sul palco per la prima volta, da poco tempo ha conosciuto la Cgil da quando la sua azienda ha aperto una procedura di mobilità. Lavora presso il porto di Genova, per una società di logistica portuale, che ha dichiarato gli esuberi e il trasferimento di una parte dell’azienda a Trieste. Tanta disperazione e poche possibilità per il futuro. Cosa fare, dove cercare lavoro visto che sono tante le aziende in crisi a Genova. “La nostra dignità è crollata”, dice dal palco. Grazie all’aiuto della Cgil, fino a quel momento sconosciuta, i lavoratori sono riusciti ad ottenere la cassa integrazione. “È importante che la Cgil continui a stare vicino alle piccole realtà, che rischiano di rimanere in ombra rispetto alle grandi vertenze, la piazza deve dare voce ai lavoratori.”

Il lavoratore edile del Piemonte: "C'è bisogno di progetti concreti"
Non va meglio nel settore edile in Piemonte, come racconta Giuseppe Fregnan della società Co.ge.Fa.: prima la cassa integrazione ordinaria, poi la straordinaria, e più di 40 esuberi attualmente. Cosi come un’altra società la Rossi spa una delle più grandi aziende torinesi con altre sedi in Italia, da diversi anni in estrema difficoltà. “L’articolo 1 della costituzione afferma che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, ma mi chiedo se il nostro governo se ne ricorda, visto che ha varato una riforma che non parla di lavoro”. Secondo Giuseppe, “c’è bisogno di avviare progetti concreti, opere realizzabili, che aumentino l’occupazione. E bisogna farlo subito”.

Vinyls Venezia, tre anni di lotta
“Ognuno ha le sue responsabilità, e le istituzioni devono farsene carico” è il grido di Alessandro Gabanotto Delegato della Vinyls di Venezia, che da circa tre anni lotta insieme ai suoi colleghi per far rispettare i propri diritti. L’azienda è in crisi, ma l’attivazione delle corrette procedure a sostegno dei dipendenti viene ostacolata da comportamenti e dinamiche quanto meno contestabili. Ma nessuno ascolta. “E ci costringono a gesti estremi, a salire sulla campanile di Piazza San Marco. Lo stato ci sta togliendo l’identità e la dignità”.

Il metalmeccanico di Firenze, servono intese che difendano i CCNL
Luca Milani, metalmeccanico con un spiccato accento fiorentino, parla con orgoglio della bellezza della sua terra, che tale non potrebbe essere senza le tante aziende piccole e grandi attive. “L’economia della Toscana è fatta da tante piccole imprese, ma oggi non c’è azienda che non stia combattendo per la propria sopravvivenza”. Ma sembra che poco importi al governo e alla Confindustria. “E’ importante trovare delle intese che difendano la centralità dei contratti nazionali e la redditività, ridando forza e importanza ai delegati sindacali e alla democrazia.” L’azienda per cui lavora si occupa di comunicazioni radio sicure e protette, in particolare la sede di Firenze è leader della tecnologia di terra. Un sistema che in realtà è fondamentale soprattutto per le forze dell’ordine, ma che lo stato trascura e sottovaluta, mentre avrebbe bisogno di un investimento economico adeguato, per cercare mettere in rete tutti: “Troppo sperare di riuscire a coordinare le forze operative in caso di calamità o è il solito sogno?”.

Mems Electronics di Merano: rischiamo il posto in 300
L’azienda di Federico Tritacarne, la Mems Electronics Materials (metalmeccanica) a causa della crisi nel 2009 ha chiuso e lui e i suoi colleghi si sono trasferiti a Merano per lavorare per un'altra società. Sembrava la svolta, ma spesso il destino è beffardo e l’azienda, inaugurata ad ottobre a dicembre ha chiuso gli impianti, sospeso la produzione e messo i lavoratori in cassa integrazione. Si stanno cercando soluzioni per evitare la chiusura definitiva: “Si rischia la perdita di 300 posti di lavoro, che vanno sommati a tutto l’indotto, circa un migliaio. Abbiamo bisogno dell’aiuto e dell’impegno di tutte le parti coinvolte.” La rabbia è tanta però: “Chiedono sacrifici a noi lavoratori, ma cosa otteniamo in cambio? Non ci sono politiche industriali a sostegno del lavoro e dei lavoratori”. Da un anno i lavoratori hanno organizzato un presidio permanente davanti alla fabbrica, ma sono stanchi: “Non siamo professionisti della lotta, siamo lavoratori che rivogliono la loro dignità, che passa attraverso il lavoro.”

L'operaia del Carbosulcis: non ci rassegniamo
La rabbia è anche quella di Elisabetta Fois lavoratrice della Carbosulcis, salita alla cronache per la lotta dell’ultimo periodo. “Da 5 anni la nostra miniera è nota per gli avvenimenti politici e la lotta estrema messa in atto dai lavoratori per cercare di avere attenzione dal governo”. Sono in attesa di una risposta ad un progetto di riqualificazione da parte delle istituzioni, secondo una direttiva europea infatti, rischiano la chiusura le miniere non competitive. “L’economia dei nostri territori è al collasso per la crisi della produzione industriale, o devastati dalla piaga della disoccupazione, e le proteste sono sempre più eclatanti. “Nella nostra crisi c’è tutta la mancanza di lungimiranza del governo e l’assenza di politiche industriali, ma proseguiremo la nostra lotta.” Il 29 ottobre è stato proclamato lo sciopero generale di tutto il territorio “Non è un punto di arrivo, ma una tappa importantissima, siamo vicini alla catastrofe, ma non ci rassegneremo: noi, insieme alla Cgil non molleremo.”

Ex operaia Fiat Irisbus, i politici guardino l’Italia con gli occhi dei più deboli
(20/10) 16:30 - Una donna che lavorava, così viene presentata Silvia Curcio ex dipendente della Irisbus, la fabbrica che costruiva autobus, ed ha chiuso i battenti qualche anno fa per la decisione di delocalizzare la produzione all’estero a causa della mancanza di investimenti da parte del governo. Una situazione drammatica quella della Regione Campania dove più di 2mila persone sono senza lavoro, e dove molte fabbriche e attività commerciali chiudono dalla mattina alla sera. Silvia richiama i politici, che parlando di primarie e conflitti partitici distolgono l’attenzione, e rivolge loro un invito, quello di guardare l’Italia con gli occhi dei più deboli: “Dovrebbero provare sulla loro pelle la vergogna che abbiamo provato. Come me, che perdendo il lavoro mi sono ritrovata a chiedere l’esenzione del ticket. Mi sono vergogna, si. Dovrebbero provare la stessa mortificazione che abbiamo provato dovendo dire ai nostri figli di rinunciare agli studi perché troppo costosi.” “I nostri figli rischiano di diventare un bacino di manovalanza solo per la malavita. Vogliamo ridare loro la possibilità di essere liberi e indipendenti e trovare spazio ai tanti cinquantenni, una ricchezza che non può essere sprecata.” Silvia attacca anche Marchionne: “Costui continua a farla da padrone: ha cancellato anni di relazioni sindacali, ha cacciato dalle fabbriche il sindacato più rappresentativo, la Fiom, ha distrutto migliaia di famiglie, e nessuno gli chiede il conto”. Un messaggio ai nostri politici poi: “Noi non deleghiamo più nessuno in bianco!”

(Emanuele Di Nicola, Roberto Greco, Roberta Manieri, Maurizio Minnucci, Davide Orecchio)