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Le previsioni dell'Istat sul Pil sono auspicabili, ma purtroppo difficilmente si realizzeranno senza un vero cambiamento della politica economica nazionale ed europa. È quanto si evince dal quinto numero dell'Almanacco della Cgil nazionale che, alla luce delle prospettive di crescita 2016 diffuse quest'oggi dall'Istituto nazionale di statistica, analizza l'andamento dell'economia dall'inizio dell'anno.
A oggi, con "l'economia della rassegnazione del governo", le previsioni rischiano di risultare "troppo ottimistiche", così come ci indicano alcune stime: "L'inedita spinta degli investimenti fissi lordi +2,7% e dei consumi privati +1,4% sembra irrealizzabile senza un importante contributo della domanda pubblica, che però dovrebbe crescere solo dello 0,2% nel 2016, dopo anni di segno meno. Non a caso – prosegue il rapporto – le previsioni indicano un tasso di disoccupazione ancora pari all’11,3% a fine anno".
Intanto, nei primi mesi del 2016, si legge nell'Almanacco, "la crescita globale ha perso slancio e l'economia del nostro paese ha segnato solo un rimbalzo, classificandosi all'ultimo posto per la crescita del Pil fra tutte le principali economie industrializzate".
Nel dettaglio si evidenzia una variazione del Pil del primo trimestre 2016 maggiore rispetto al trimestre precedente (+0,3% contro +0,1%), ma più contenuta rispetto allo stesso periodo del 2015 (+1,0% anziché +1,1%). Infatti l'andamento degli indicatori della produzione, del fatturato e degli ordinativi appare favorevole solo mese su mese, mentre rallenta su base annua, senza contare l’enorme distanza dal livello pre‐crisi.
Per la Cgil, a dimostrare la fragilità dell'economia italiana ci sono diversi indici dei prezzi che, spiega l'Almanacco, nonostante il nuovo Qe (marzo 2016) registrano una dinamica tendenziale negativa per il terzo mese consecutivo. La deflazione insiste perché la crisi di domanda persiste, nonostante il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali si mantenga positivo grazie anche alla riduzione dei prezzi del petrolio e, in generale, dell’energia.
"Occorrerebbe - conclude il sindacato – aumentare la quantità e la qualità del lavoro come della produzione per creare valore aggiunto, anziché abbassare salari, occupazione e diritti, così come previsto dal governo".