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In Italia la lavorazione dell’amianto è stata vietata, rappresentando una battaglia vinta cui la Cgil, seppur con tutte le contraddizioni di quegli anni, ha dato un contributo decisivo. Tuttavia non ha significato la fine delle morti per amianto: secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità più di 107 mila persone muoiono ogni anno di cancro al polmone, mesotelioma o asbestosi a causa di un’esposizione lavorativa. In Italia, che è stata uno dei maggiori produttori e utilizzatori di amianto fino agli ultimi anni ottanta, si stimano 3 mila decessi l’anno: una cifra purtroppo destinata a crescere, con un picco fra il 2015 e il 2018. E non si tratta solo di lavoratori, ma anche di persone che hanno abitato nelle vicinanze di siti produttivi, com’è successo a Casale Monferrato.
Questa situazione vede interventi per la rimozione e lo smaltimento ancora lontani dagli obiettivi fissati nel 2006 dalla Regione Lombardia al gennaio 2016, e questo anche a Brescia. La situazione richiederebbe una maggiore volontà istituzionale nell’accompagnare la realizzazione da parte dei privati delle bonifiche nei termini previsti, più che una reinterpretazione delle norme – come sta avvenendo in Regione – per delimitare la scadenza a interventi definiti “prioritari” per lo stato di degrado dei prodotti e dei manufatti da bonificare. In proposito alle iniziative di accompagnamento alla bonifica (e diversamente da quanto sta discutendo la Regione), mi pare di segno positivo l’iniziativa dei sette Comuni bresciani (Torbole Casaglia, Castelmella, Lograto, Flero, Berlingo, Castegnato e Roncadelle) di “fare rete” per ridurre i costi di attivazione delle procedure e delle bonifiche, considerati “uno scoglio” che dissuade dalle buone intenzioni di concreta rimozione dell’amianto.
In Italia restano da bonificare 32 milioni di tonnellate di amianto, di cui 3 milioni in Lombardia e 33 mila metri quadrati a Brescia. Va anche ricordato il limite di tre discariche in Lombardia, tutte sotto sequestro, di cui due a Brescia (Ecoeternit di Montichiari; Profacta, in via Brocchi). Riguardo la Cgil, abbiamo presentato 3.900 ricorsi per ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali previsti per l’esposizione all’amianto: il 30 per cento di questi è stato riconosciuto, per il 60 sono aperte le cause legali, mentre il restante 10 per cento è andato in prescrizione per rinuncia degli interessati.
Permangono tuttavia, non solo per l’amianto ma a livello più generale, sottovalutazione e scarsa volontà nel determinare la messa in sicurezza dalle fonti inquinanti e per le bonifiche. Grave resta la situazione del Sito di interesse nazionale (Sin) Brescia Caffaro e dell’inquinamento da policlorobifenili (Pcb) e da tanti altri inquinanti rilevati dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) nell’area. Manca ancora la messa in sicurezza di fonti accertate, permane il rischio di inquinamento delle falde acquifere, mentre la bonifica ha visto passi timidi, senza che, allo stato attuale, un Piano complessivo di intervento sia stato approntato. E il Sin Caffaro, sebbene sia l’area inquinata più importante per estensione e gravità, non è l’unica: permangono fonti di inquinamento attive nei siti industriali, in agricoltura, negli allevamenti (basti pensare all’uso di insetticidi e al fenomeno rilevato dell’acqua ai nitrati) e nei servizi (per mancanza di depuratori e collettori), cui si aggiunge l’inquinamento da traffico nell’assenza di un reale programma di modifica strutturale.
* segretaria Cgil Brescia