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BARCELLONA – Nell’estate del 2015, il Parlamento catalano approvava all’unanimità la legge 24/2015 del 29 luglio, recante misure urgenti per affrontare l’emergenza casa e la povertà energetica. Nata da un’iniziativa legislativa popolare, promossa dalla Plataforma afectados por la hipoteca, la normativa aveva (e ha) per oggetto misure finalizzate a ridurre lo stato di disagio di molti cittadini attraverso la garanzia della somministrazione dei servizi di base e una serie di strumenti-azioni urgenti contro gli sfratti, prevedendo la possibilità per i Comuni di utilizzare gli appartamenti vuoti in possesso delle banche, con l’obbligo per queste ultime di aumentare il parco pubblico abitativo.
Alla fine del mese di maggio di quest’anno, però, il Tribunal Constitucional ha sospeso della legge proprio gli articoli relativi all’emergenza abitativa, facendo seguito al ricorso del governo spagnolo a guida Partido Popular. Ricorso avvenuto appena pochi giorni dopo l’incontro tra i presidenti della Generalitat e del governo spagnolo, nel corso del quale Carles Puigdemont aveva invitato espressamente Mariano Rajoy a non continuare a perseguire la sua linea di “giudiziarizzazione” della politica. A motivare la richiesta del presidente del governo autonomo, le 34 leggi catalane – 15 delle quali di carattere sociale – impugnate, negli ultimi sette anni, dal Tribunal Constitucional.
Il governo spagnolo ha accampato ragioni tecniche e non politiche per giustificare il suo ricorso nei confronti della legge sull’emergenza sociale, affermando che gli articoli oggetto della sospensione vulnerano competenze statali e generano un danno particolare al sistema finanziario. Ma la società catalana ha considerato l’ennesimo ricorso del governo del Pp un vero e proprio attacco ai diritti sociali delle persone, un’ingiustizia ai danni di quelle più deboli: “Non un conflitto tra due istituzioni – nelle parole di Puigdemont –, ma un conflitto che reca pregiudizio a molta gente”.
Per questa ragione, appena dopo l’annuncio del ricorso, il presidente della Generalitat ha convocato una riunione istituzionale del suo governo con i sindaci di Barcellona e delle città dell’area metropolitana, degli altri capoluoghi di provincia, e con il gruppo promotore della legge, l’associazionismo e i sindacati confederali. L’idea è quella di riproporre, nei tempi più rapidi possibili, un nuovo testo di legge che raccolga lo spirito della normativa impugnata, aggirandone così la sospensione.
Nel frattempo, decine di entità sociali, indipendentiste, sindacali e culturali, con l’adesione di tutti i partiti politici della Catalogna, fatta eccezione per Ciudadans e Partido Popular, preparavano la grande manifestazione dello scorso 29 maggio, che ha visto scendere in piazza migliaia di manifestanti dietro lo striscione “I diritti non si sospendono: lavoro degno e democrazia reale”. In un connubio tutto catalano, capace di riunificare attorno a un obiettivo di paese società civile, partiti e istituzioni. Dove l’associazionismo sociale, i partiti indipendentisti e progressisti e le istituzioni locali, frutto del “cambio” manifestatosi da un anno a questa parte nelle elezioni amministrative e autonomiche, sono tornati a esaltare il nesso tra progresso sociale e progresso nazionale. Il tutto a poche settimane dalla celebrazione di nuove elezioni politiche in Spagna.
A meno di un mese dalla decisione del Tribunal Constitucional, comunque, un effetto negativo sul piano sociale il blocco della legge sembra già averlo prodotto. È di questi giorni la denuncia circostanziata della Plataforma afectados por la hipoteca sulla ripresa del fenomeno degli sfratti nelle principali città catalane. Adesso che, per via della sua impugnazione, le banche sono state sollevate da ogni vincolo in materia, tutto il peso dell’emergenza abitativa torna a ricadere sui poteri pubblici.