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“Questo paese ci ha offerto in tempi rapidissimi un cambiamento di orizzonte. Qualche mese fa l'idea dominante era che tutti quelli che criticano sono dei conservatori, che bisogna dare fiducia al cambiamento e succederanno cose straordinarie. Oggi, invece, è comparsa una domanda che noi abbiamo fatto fin dall'inizio: quale cambiamento? Verso dove?”.Lo ha detto Susanna Camusso
, segretario generale della Cgil, il 18 dicembre, in occasione della giornata nazionale di raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare per l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione. L'iniziativa romana ha come obiettivo quello di sensibilizzare alla campagna che consegnerà alla Camera almeno 50.000 firme entro il 15 aprile 2015. Ed è stata trasmessa da RadioArticolo1.
“Cambiamenti – ha continuato Camusso - nel paese ce ne sono stati. E alcuni molto rilevanti. Uno è l'arrivo di una stagione molto complicata nel rapporto tra i cittadini e la politica. La progressiva convinzione che non ci sono luoghi di partecipazione. Credo che con questo cambiamento degli orizzonti del paese, tutti debbano misurarsi. E poi c'è un tema che interroga direttamente noi, su cui la Cgil ovviamente si sta interrogando. Uno degli elementi di cambiamento che caratterizzano questa stagione è che la politica e il governo sembrano non aver bisogno di interlocuzioni con nessuno, perché la politica è autosufficiente. Questo cambia uno scenario che ha caratterizzato la storia politica di tutta la Repubblica, che ha sempre teorizzato che vale la Costituzione, una Costituzione fondata sull'idea della partecipazione, non sull'idea della governabilità”.
Secondo Camusso, però, “questo non vuol dire che il sindacato deve farsi carico della rappresentanza politica. Una delle ragioni della straordinaria mobilitazione che abbiamo messo in campo è che abbiamo dato parola al tema del lavoro, nei suoi tanti orientamenti, nelle sue tante convinzioni, nelle sue tante diversità. Ovviamente dentro quell'idea del lavoro che riprende voce e torna nelle piazze c'è anche un altro versante: è un lavoro che trova una forma di unità e di rappresentazione, perché non ha altri luoghi dove essere rappresentato e affermarsi. Dobbiamo affermare un principio di autonomia della nostra iniziativa ma non possiamo essere indifferenti a quello che succede. L'iniziativa sul lavoro che noi mettiamo in campo, influenza la politica economica più in generale e l'esercizio della politica del paese. Per questo ha un senso il fatto che delle organizzazioni sindacali raccolgano le firme per l’abrogazione del pareggio di bilancio. Perché noi continuiamo a partire dall'idea che non può essere l'economia che governa la politica”.
“Non va bene che ci sia il pareggio di bilancio – ha detto Camusso - e lo diciamo dal nostro punto di vista. La prima ragione è che dire 'se non cambia l'Europa non possiamo fare niente' rischia di diventare un alibi. In questi anni abbiamo rivendicato che se fai una politica prociclica la recessione si accentua e si arriva, come siamo arrivati, alla deflazione. Se si vuole contrastare la crisi bisogna fare una politica differente, una politica di investimenti. Ma questo governo ha scelto di affidarsi alle imprese. Quindi il vincolo di pareggio di bilancio preclude la possibilità di spendere per determinare investimenti. La seconda ragione per cui non va bene è che bisogna togliere dal luogo oltraggiato in cui è stato collocato l'intervento pubblico, che in molta parte del dibattito di questi anni è diventato il nemico pubblico numero uno. In realtà, noi abbiamo una crisi strutturale del sistema produttivo che deriva dal fatto che da 18 anni non si fanno investimenti e che il famoso capitalismo nostrano ha progressivamente spostato i capitali delle famiglie dall'investimento nel sistema produttivo all'investimento finanziario immobiliare”.
“Oggi – ha concluso il leader Cgil - tanta parte dei lavoratori d'Europa pensano che l'Europa stessa sia la causa della loro disoccupazione. Però per salvare l'Europa bisogna non discutere di percentuali. Per salvare l'Europa bisogna dire una cosa un po' più netta: non si può avere un trattato che regola i rapporti tra gli stati costruito sulla convinzione della necessità di una crescita perenne. Bisogna avere un trattato che regoli la possibilità di politiche per rispondere alla crisi. E che tenga conto che esistono dei cicli negativi. E che permetta l'intervento pubblico, e gli investimenti. Il senso della legge di iniziativa popolare è anche il il voler dire: vediamo che cosa possiamo fare in Italia, perché la discussione in Europa non sia la discussione delle percentuali ma sia la discussione di un'Europa che ha bisogno di salvare sé stessa”.