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“Noi abbiamo lavorato per la realizzazione di Expo 2015, lo dimostrano i tanti accordi e protocolli che sono stati firmati. Adesso, però, ci piacerebbe avere grande trasparenza sui numeri. Vorremmo sapere quanti lavoratori ci stanno dentro, capirne gli obiettivi, conoscere la relazione tra le persone che visitano Expo e quanto succede sulle altre attività della città e del resto del paese. Capire, insomma, qual è l’attivazione positiva che un evento come Expo può innescare”. A dirlo è la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, intervenendo oggi a Milano all’iniziativa “L‘orizzonte oltre l’Expo. Un’opportunità per sviluppare l'attrattività e la competitività del paese”, organizzata dalla Cgil Lombardia. “Vorremmo capire – aggiunge – cosa succede sul piano del lavoro: non solo sul rispetto dei contratti, ma anche riguardo le professionalità che sono state messe in moto, perché questo ci dice di che patrimonio disporrà Milano alla fine della manifestazione”.
Nel suo intervento Camusso si è anzitutto concentrata, partendo proprio dall’identità concreta di una città come Milano, sui temi della conoscenza, dell’innovazione e della ricerca. Temi fin troppo sottovalutati, perché è prevalsa l’idea di “non investire nella ricerca come terreno sperimentale, che può quindi determinare risultati positivi o negati, ma tutto si è concentrato nell'immediata trasformazione, con il risultato che diventa più facile comprare ricerca che non produrla”. Per la segretaria generale Cgil, dunque, bisogna sempre ricordare che “le grandi innovazioni sono pubbliche, sono determinate dalla ricerca pubblica, poi trasformate e utilizzate dai privati”.
Secondo Camusso, “noi non salviamo il nostro paese se non acceleriamo la capacità di fare ricerca e innovazione”. Ma questa capacità inerisce profondamente il lavoro: Occorre quindi dare “all'idea dell'innovazione e della ricerca anche uno straordinario senso sociale”, anche per non cadere nell’errore di pensare che “la tecnologia e l’innovazione seguono una logica che alla fine rischia di essere solo quella del profitto, dei maggiori margini per l'impresa, mentre per tutto il resto pensiamo a forme distributive di reddito più o meno sufficienti a vivere positivamente”. Un mondo, quindi, diviso in due, con “un'elite che vivrà molto bene, mentre tutti gli altri dipenderanno dalle risorse che quell'elite potrà mettere o non mettere a disposizione degli altri”.