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“La prima grande urgenza è creare lavoro, usare tutte le risorse disponibili. E invece il Jobs Act si fa un preciso scambio tra Stato e imprese che faciliterà i licenziamenti”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, conclude il seminario che si è svolto oggi (21 gennaio) a Roma nella sede della confederazione per parlare di politiche del lavoro e discutere del “Job Italia”, l'alternativa elaborata dall'economista Luca Ridolfi in risposta al Jobs Act del governo. Un progetto per certi versi affine al Piano del lavoro Cgil, almeno nella misura in cui punta i fari sulla creazione di nuovi posti anziché concentrarsi sulle tipologie contrattuali e distribuire risorse a pioggia, oltretutto senza alcun vincolo sulla nuova occupazione, come fa la riforma del governo.
Sul banco degli imputati resta dunque il Jobs Act. “Gli incentivi - sottolinea Camusso - dureranno solo 8-9 mesi (a partire dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, fino a dicembre, ndr), un periodo che consentirà alle imprese di coprire i costi del licenziamento per poi assumere una persona che costa molto meno, oltretutto conteggiata come nuova occupazione. Quale interesse abbia un paese a finanziare un licenziamento, mi resta oscuro. Non si capisce perché le imprese possono licenziare liberamente, e gratis, non si capisce quali colpe debbano espiare i lavoratori”.
Insomma, tra legge di Stablità e Jobs Act la situazione non migliorerà e, “ingiustizia nell'ingiustizia generale, i contratti degli appalti diventeranno tutti a tutele crescenti, conteggiati come nuova occupazione. In tutto ciò c'è una ragione ideologica. Lo Stato delega i fattori di politica economica alle imprese, regalandogli un livello di potere sui lavoratori di stampo ottocentesco in una logica secondo cui l'imprenditore è forte e il lavoratore deve essere ricattabile. Conosciamo tante imprese buone, ma ciò non giustifica togliere diritti a tutti. Noi invece pensiamo che l'obiettivo della piena occupazione non è argomento da '800. In tale ambito abbiamo creato la nostra proposta di Piano del lavoro, con un piano straordinario di occupazione, con finanziamenti scaturiti anche dalla diversa redistribuzione del reddito, da rendere tale attraverso la tassazione delle grandi ricchezze".
"La diseguaglianza sociale è l'altro grande nodo, assieme alla mancanza di lavoro", prosegue Camusso. "Lo diciamo dalla nostra Conferenza di programma del 2009. Successivamente, con il Piano del lavoro abbiamo provato a rispondere all'interrogativo, andando oltre il reddito di sussistenza, ponendoci anche il problema di come lo finanzio. E, oltre alla produttività da aumentare, abbiamo fatto un passo in più: ci siano posti il problema dello sviluppo, che nasce dalla creazione di nuova occupazione. Noi non mettiamo come condizione che il rapporto di lavoro da creare sia necessariamente a tempo indeterminato, ma che vengano salvaguardate le regole di chiarezza e trasparenza che sottendono a ogni rapporto di lavoro. Sotto tale punto di vista, il nostro sistema va riorganizzato".
"La riforma della pubblica amministrazione e dell'istruzione sono due pilastri non casuali, perché riguardano la funzione dello Stato e il perimetro pubblico, uno dei moltiplicatori possibili dell'occupazione e dell'investimento sociale. Pubblico non è solo erogazione di servizi, ma chi governa l'economia, a cominciare dalle politiche industriali. Non solo per la siderurgia, o per l'high tech, o per il Mezzogiorno, ma ad esempio anche per le belle arti del nostro Paese, tema che riguarda il patrimonio fondamentale del nostro Paese. Non è parla d'altro, come sostengono alcuni economisti, ma è parlare dopo. Cioè tutto il gioco tra produzione industriale e servizi aggiunti. Guardiamo alla logistica e alla mobilità e ai relativi investimenti che sta facendo la Germania. O facciamo quello che fa la Gran Bretagna, che sta pensando a ripubblicizzare il sistema del trasporti, dopo essere passata per l'esperienza con i privati".
"L'innovazione, di cui abbiamo assoluto bisogno – ha continuato la leader Cgil –, può essere prodotta dallo Stato. Non basta allungare l'orario dei musei, ma occorre porsi la domanda di come posso valorizzare con nuovi servizi tecnologici il nostro immenso patrimonio artistico-culturale. Mettere a valore la potenzialità del Paese, accompagnando il processo di innovazione con interventi continui, ha bisogno dello Stato investitore. È quello che sostiene l'economista Mariana Mazzucato, che dice che ci vuole un capitale paziente, ossia con capitali di rischio a lungo termine. Altrimenti, non fai innovazione di rischio, ed è proprio quello che non è avvenuto negli ultimi vent'anni in Italia: la bassa produttività attuale di cui soffriamo, si spiega anche per questo".