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L'integrazione fra tutela individuale e tutela collettiva, l'importanza del rapporto tra l'Inca e i suoi assistiti anche in chiave di rappresentanza collettiva, il tesoro di informazioni costituito dall'enorme data base che ogni giorno il patronato implementa nella sua attività di tutela individuale. Se ne è parlato mercoledì 8 gennaio nel corso di un'assemblea delle operatrici e degli operatori del patronato regionale dell'Emilia Romagna svoltasi a Bologna ("L’Inca a tutela delle tutele"). Radioarticolo1 ha mandato in onda stamani, nello spazio di "Italia parla", le conclusioni di Susanna Camusso di cui di seguito diamo un'ampia sintesi.
“Stiamo vivendo una crisi dai caratteri inediti – ha ricordato in apertura del suo intervento il segretario generale della Cgil –. Se così è anche i bisogni che in essa insorgono sono inediti. E questi bisogni inediti la Cgil li ha conosciuti, nella stagione che stiamo attraversando, soprattutto attraverso il sistema dei servizi. Tutta l’organizzazione deve riconoscere questo lavoro. Ci trasciniamo ormai da lunghissimo tempo una discussione su cosa sia un sindacato contrattuale e cosa sia un sindacato dei servizi parlando ormai un linguaggio, nell'uno e nell'altro caso, che nulla ha che fare con le cose di ogni giorno. Questo è il punto”.
La crisi, e le modalità con cui la politica e i governi l’hanno affrontata, hanno caricato i servizi della Cgil di nuove funzioni. Il perimetro pubblico infatti si è ridotto, non solo in termini di welfare, “ma anche di risposte dirette alle persone”. “Una questione che abbiamo bisogno di affrontare – ha continuato Camusso – perché la risposta che abbiamo dato finora, una risposta straordinaria dovuta in gran parte al lavoro, all’impegno, alla passione dei compagni e delle compagne del sistema dei servizi, non la si può richiedere all’infinito. Né possiamo pensare a una moltiplicazione delle nostre risorse. Non perché non sarebbe giusto ma perché oggettivamente non ce le abbiamo. E noi non possiamo diventare un soggetto che rinuncia a farsi carico dei problemi dei lavoratori, del rapporto individuale con le persone che vengono a chiederci un servizio”.
“Possiamo considerare tutto questo come qualcosa di altro rispetto all’esercizio della tutela contrattuale dei lavoratori? Io credo che se continuiamo a ragionare come se ci fosse da un lato chi fa la contrattazione e dall’altro chi firma delle polizze assicurative facciamo un errore tragico”. Nel modello della Cgil questa separazione non è c’è. “Tu non incontri la lavoratrice o il lavoratore nel momento in cui deve accedere alla pensione, incontri quel lavoratore e quella lavoratrice in tanti momenti diversi della sua vita lavorativa, con i problemi che volta a volta gli si presentano”. È per questo che si dice "presa in carico". “Pigliare in carico vuol dire che ci curiamo delle persone, che curare il lavoro vuol dire anche curare le persone e le loro condizioni, un gergo magari nuovo rispetto alle modalità con cui parla un’organizzazione sindacale, ma una modalità che invece incrocia molto i bisogni delle persone e le difficoltà della stagione attuale”.
“Questo vuol dire anche che i nostri servizi sono il luogo in cui si possono scoprire tutti i vuoti che si sono determinati nella nostra capacità di contrattazione collettiva. Non la sostituzione della contrattazione collettiva, dunque, ma i vuoti che si sono determinati al suo interno. E che si sono determinati, per carità, per tante ragioni di cui l’organizzazione certo non porta responsabilità. Responsabilità dell’organizzazione però è domandarsi come li si riempie, come la Cgil riconquista una capacità di contrattazione collettiva unendola alla tutela individuale. Questo significa, quindi, una discussione laica sui limiti che ha oggi la contrattazione. Non stiamo dando voti a nessuno. Dobbiamo provare a misurarci con le trasformazioni che sono intervenute e con le sperimentazioni che è necessario fare in una situazione che nel frattempo è cambiata”.
“Credo sia questo il grande tema del congresso. In questi sei anni i rapporti tra le persone sono cambiati profondamente; quindi il problema è come noi proviamo a ricostruire con le persone una prospettiva di cambiamento. Il congresso vuole essere questo, sapendo che se noi andiamo davvero dai lavoratori e dalle lavoratrici dopo questo lungo periodo di crisi non troveremo entusiasmo, non troveremo folle plaudenti, troveremo il grumo duro, difficile, di tutti i problemi che si sono accumulati. Scopriremo anche che siamo tra i pochi che vanno a parlare con i lavoratori e le lavoratrici; e che verranno attribuite a noi anche tante cose che a noi non vanno attribuite. Ma la scommessa vera è andarci”.
Qual è il filo rosso dell'attività sindacale, dunque, e in che modo l'attività di tutela del patronato può contribuire a rafforzarlo?
“Sono convinta da lungo tempo che il filo rosso del ragionamento per la Cgil non può che essere quello della contrattazione. La nostra funzione è riconosciuta e riconoscibile da parte dei lavoratori e delle lavoratrici solo se noi siamo un soggetto contrattuale capace di risposte. Noi la rappresentanza non la ricostruiamo perché ogni giorno li citiamo o perché ci autoflagelliamo dicendo che dobbiamo rottamarci tutti in questa ordalia del cambiamento che caratterizza i nostri giorni. Noi la risposta la forniamo se siamo in grado di dire che per l’insieme dei soggetti del mondo del lavoro, che sono quelli che vogliamo rappresentare, siamo in grado di offrire una risposta contrattuale. La nostra vera difficoltà è che oggi noi rappresentiamo contrattualmente meno della metà dei lavoratori: messi tutti insieme appassionatamente non raggiungiamo la maggioranza dei lavoratori che hanno un rapporto di lavoro. Questo è il tema che dobbiamo affrontare. Un tema che non permette salti, per la cui soluzione bisogna proporre una nuova modalità che permetta di includere tutti coloro che oggi inclusi non sono. Che non lo sono per la frammentazione del mercato del lavoro, che non lo sono per le esternalizzazioni, che non lo sono per il sommerso, che non lo sono per la dimensione d’impresa, che non lo sono per precarietà. Ma la nostra scommessa, l'unica che può permetterci di recuperare la nostra funzione di rappresentanza, è che noi cominciamo a rappresentare ‘quelli lì’”.
“Ma come li si rappresenta, si dice, se non li conosciamo? Se il tema ce lo poniamo davvero, ci accorgiamo che in realtà non è vero che non li conosciamo. Il problema è come facciamo a utilizzare il patrimonio di relazioni con le persone che abbiamo, e come riusciamo a recuperare quella capacità di progettazione contrattuale per cui le singole domande individuali non restano, appunto, domande di tutela individuale ma diventano domande di tutela collettiva. Rappresentanza vuol dire tutto questo, vuol dire che innanzitutto vedo quei soggetti e mi pongo la domanda di come li rappresento e di come do loro potere contrattuale. E siccome sappiamo bene che il potere contrattuale è figlio dell’esercizio dei diritti sindacali e questi sono soggetti senza diritti sindacali e devo arrivare a conquistarli, il primo gradino per la rappresentanza è darla loro all’interno dell’organizzazione: deve essere l’organizzazione a dire ‘’io ti attribuisco questo potere’". Ci si spenderà negli intervalli del lavoro, dopo il lavoro, con i questionari, in tutti i modi possibili. "Ma intanto bisognerà cominciare a dire che questi soggetti hanno il potere di dire la loro sulla contrattazione che la Cgil mette in piedi". Senza delegare ad altri, al parlamento o alla legge.
Per questo bisognerà tornare sul territorio, intensificare il rapporto tra patronato e categorie, contribuire a una compiuta integrazione tra tutela individuale e rappresentanza collettiva. È l’ulteriore passaggio del ragionamento della Camusso.
“Se guardiamo le sperimentazioni che si stanno realizzando, i protocolli dell’Inca con le categorie sono prevalenti con quelle strutture che in varie forme, in vari modi hanno deciso di andare a riscoprire il territorio, che hanno deciso che non volevano più aspettare che i lavoratori venissero a loro, e hanno ricominciato a cercare i lavoratori. L’esperienza dei migranti e delle campagne è esattamente questa. Poi possiamo chiamarla in tanti modi, ma il segno è quello: il bisogno che nel territorio torni la complessità delle strutture della Cgil". Non la somma di tanti “pezzettini”, ognuno in ciascun territorio con il suo, ma la sintesi, la capacità di mettere in relazione le varie realtà è sempre stata la forza della Cgil nelle fasi di trasformazione. "Perciò non sarebbe un risultato positivo se chiudessimo qualche Camera del lavoro, anche se la provincia di riferimento non esistesse più. Però, perché questo non avvenga, bisogna che pensiamo a come le Camere del lavoro sono vissute, a come sono animate, a come diventano luogo di aggregazione, a come diventano uno straordinario luogo di democrazia. E allora il tema della democrazia parla anche di come siamo fatti noi".
“Noi non abbiamo ancora risolto un tema, ad esempio: come partecipano i servizi al congresso? È una domanda che dobbiamo porci. Ma poi ce n’è una seconda. Con tutto il rispetto, se pensiamo che nei nostri organismi dirigenti debbano starci i compagni delle categorie impegnati nelle zone, i compagni confederali che sono nelle zone, i pensionati che sono nelle leghe, oltre che i segretari, è ragionevole che del patronato ci stiano solo i direttori? Lo dico perché penso che uno dei problemi della nostra democrazia è che nella gerarchizzazione, direbbe qualcuno, nella burocratizzazione direbbe qualcun altro, preferisco non aggettivarla, trovo che ci sia un pezzo che manca sempre di più: la discussione sulle cose che facciamo realmente, che concretamente accadono e sulle necessità di avanzamento che abbiamo. Io coltivo un sogno, forse un’illusione, non lo so, ma sono abbastanza convinta che se noi riuscissimo a fare discussioni come questa, non con le camere del lavoro ma con l’insieme dei funzionari e dei segretari delle categorie, forse faremmo un piccolo passo avanti in quella discussione su tutela individuale e tutela collettiva che appare molto basata su idee antiche e su modelli che non appartengono a noi. Il congresso, da questo punto di vista, dovrebbe essere una straordinaria occasione anche di scambio di esperienze.
Un altro dei temi affrontati da Camusso è l’importanza della banca dati del sindacato, raccolta attraverso l’attività dell’Inca.
“Noi siamo una delle più grandi banche dati che ci siano in questo paese. Nel senso che abbiamo una straordinaria banca dati sui redditi e sui livelli d’impoverimento. Siamo una straordinaria banca dati sulla salute, quando riusciamo a toccare il tema. Siamo una straordinaria banca dati su questioni come quella degli appalti. Siamo una straordinaria banca dati sull’immigrazione e sul cambiamento dell’immigrazione. Ma non riusciamo a fare di tutto questo un pezzo della nostra elaborazione, non riusciamo a fare di tutto questo un punto di valutazione significativa degli effetti delle politiche che abbiamo agito, degli effetti delle politiche del governo e dei cambiamenti necessari”.
“Al centro del dibattito del paese c'è il fisco, il rapporto con la tassazione e con la proprietà della casa, la distribuzione delle ricchezze, l’esistenza o meno di rendite finanziarie diffuse. Bene, noi abbiamo registrato anno su anno, nel nostro sistema dei servizi, l’impoverimento dei lavoratori e dei pensionati e abbiamo registrato anno su anno nel nostro sistema dei servizi l’esplosione delle diseguaglianze. Tutto questo è straordinariamente importante perché noi siamo alla vigilia della riapertura della discussione sui temi del lavoro, o per lo meno alla promessa di una riapertura della discussione sui temi del lavoro. Noi abbiamo individuato un discrimine fondamentale: non serve parlare di regole quando il problema è il lavoro che manca e abbiamo la necessità che invece le risorse vadano investite per la creazione di lavoro. Il che vuol dire ovviamente che per noi l'intervento pubblico non è una bestemmia ma una necessità straordinaria, che solo da lì si può partire per ricostruire, ricreare lavoro. E ovviamente non pensiamo di creare lavoro precario, pensiamo di creare lavoro qualificato, stabile, abbiamo perfino l’ambizione di creare lavoro utile al futuro del paese, al suo assetto, al suo rilancio e che abbia poi anche la possibilità, la capacità di attrarre lavoro privato. Ma abbiamo anche detto che c’è uno straordinario tema: i redditi da lavoro e l'inclusione e il superamento della povertà. Dobbiamo mettere insieme, allora, quest’idea del lavoro, del piano del lavoro, con l’idea della diseguaglianza”.
“Abbiamo però anche un’altra preoccupazione, immaginando ciò che noi pensiamo sia possibile fare, cioè una seria patrimoniale: uno straordinario piano di occupazione per i giovani e per le donne che parta dal piano del lavoro”. Non è la redistribuzione dell’orario, invece, che da questo punto di vista può aiutare: “Non abbiamo precedenti di interventi significativi sulla redistribuzione dell'orario di lavoro in stagioni di crisi, le grandi conquiste di riduzione dell’orario del lavoro sono tutte conquiste che vengono fatte in fase di grande espansione”.
C’è un tema, infine, che non è stato ancora risolto: la ricostruzione di un modello solidale tra i lavoratori. “Un modello solidale che oggi va costruito di fronte alla crisi e alla paura. Non c’è più la crescita, non c’è più certezza della propria condizione”. Non solo, “ma il mondo del lavoro non è avulso dall’individualismo e dall’egoismo seminati a piene mani nel paese. E la distanza che c’è nella riflessione della Cgil tra la tutela individuale e la tutela collettiva in realtà "è anche un sintomo di questa separazione, dell’idea che quando la domanda è individuale registra la necessità di qualcuno che non ce la fa, mentre se sei nel collettivo solidale puoi fare la contrattazione”.
“Allora, se vogliamo rappresentare di più, rappresentare i più deboli, ricostruire la solidarietà abbiamo bisogno di sapere che ci sono due attori che devono agire insieme. Perché se agiscono distintamente prendono anche in carico le persone ma non modificano la società. E siccome a noi non basta prendere in carico le persone ma abbiamo bisogno di cambiare la società ognuno deve sapere che quella trasformazione ha bisogno dell’agire collettivo”.