Ieri il consueto articolo domenicale di Eugenio Scalfari su Repubblica si apriva con una lunga citazione dalla famosa intervista che lo stesso Scalfari fece nel gennaio del 1978 a Luciano Lama, allora segretario generale della Cgil, all’epoca della “svolta dell’Eur”. Gli risponde oggi sulla stessa Repubblica con una lunga lettera Susanna Camusso, che sottolinea i passaggi non ricordati di quella intervista e le differenze tra il 1978 e oggi.
“La Cgil oggi, come Lama ieri – scrive il segretario generale della Cgil –, mette al centro occupazione e lavoro, ma mentre allora i salari crescevano, anche se molto erosi dall´inflazione, oggi siamo alla perdita sistematica del loro potere d´acquisto”. E ancora: “La distribuzione del reddito tra profitti e retribuzioni non aveva lo squilibrio di oggi. Tutti, ormai, leggono in questa diseguaglianza la ragione profonda della crisi che attraversiamo”.
La diseguaglianza deriva dallo spostamento progressivo dei profitti a speculazione finanziaria riducendo gli investimenti in innovazione, ricerca, formazione e in prodotti a maggior valore e più qualificati. “Senza investimenti, si è scelto di produrre precarietà”, trasferendo su lavoratori e lavoratrici le conseguenze della via bassa allo sviluppo.
E poi: “Quanta disattenzione alle proposte vere della Cgil, quando indichiamo come priorità un Piano per il Lavoro” scrive ancora Camusso, che punti sull’intervento pubblico, sul welfare come motore di uno sviluppo attento alle persone, su una nuova idea di sviluppo. “Un Piano per il Lavoro guarda, ovviamente, all´immediato e alla capacità di programmare. In questo quadro intende affrontare anche i nodi della produttività, della contrattazione, della rappresentanza, del mercato del lavoro, e soprattutto del fisco”. Ma per la Cgil “l´urgenza è la riduzione della precarietà che viene prima, molto prima, di altri temi”.
“Siamo i primi ad apprezzare che l´Italia sia tornata al tavolo dei grandi – scrive Camusso –, a sostenere sforzi per far ripartire il paese, ma se ogni scelta presenta il conto solo al lavoro (nella finanziaria la cassa sulle pensioni; nelle liberalizzazioni il contratto ferrovie e l´equo compenso dei tirocinanti, ad esempio), abbiamo il legittimo dubbio, anzi la certezza, che si affronta il ‘nuovo’ con uno strumento antico”. “Se sarà così – conclude il segretario della Cgil –, non si salverà l´Italia ma una sua piccola parte, che forse non ha bisogno di salvarsi, perché lo fa già tra evasione, sommerso e lobbismo di ogni specie”.