Diminuisce la criminalità, “ce lo dicono tutti gli indicatori”, ma non “i femminicidi, le violenze sulle donne e le aggressioni”, che da un anno a questa parte non sono calati. “In realtà l'urgenza che abbiamo sentito di prendere la parola è motivata anche da una stagione di regressione del linguaggio dell'informazione, delle risposte date dalla magistratura e del dibattito pubblico”. Con queste parole Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha spiegato ai microfoni di RadioArticolo1 la mobilitazione “Riprendiamoci la libertà”, lanciata dalla confederazione per sabato 30 settembre, con iniziative previste in moltissime città contro la violenza sulle donne, la depenalizzazione dello stalking e la narrativa con cui stupri e omicidi diventano un processo alle vittime. Dalle 16 di sabato la diretta su RadioArticolo1.

“Sembra di essere tornati ai tempi del processo del Circeo – commenta Camusso –, e parliamo ormai di quasi 50 anni fa”. Il segretario Cgil avverte infatti una “sistematica trasformazione delle vittime in colpevoli, una violenza esercitata due volte, come se ci fosse la volontà di un racconto morboso, una ricerca della dimostrazione, in realtà, dell'innocenza di chi esercita la violenza, come se fosse diventata cultura comune il fatto che, se la violenza succede, è perché c'è una provocazione da parte delle donne, delle ragazze e anche delle signore anziane, come abbiamo potuto vedere. Questa regressione culturale fa davvero spavento, perché ti fa pensare che allora tutti gli anni che abbiamo alle spalle, anche di dibattito pubblico, siano stati cancellati da una corporazione maschile che si difende”.

 

Di fronte alla limitazione della libertà delle donne, che si avverte nel linguaggio dei media e dei social media, Camusso rivendica il diritto, per tutte, a condurre una vita normale e cita Golda Meir (“un’affermazione riproposta sulla rete in questi giorni”) “quando alla domanda di coprifuoco per proteggere le donne in una stagione in cui c'erano stati molti episodi di violenza, lei disse ‘il coprifuoco valga per gli uomini non per le donne’, che devono essere libere di scegliere, di muoversi e di decidere”.

La dirigente sindacale individua poi “un altro messaggio negativo, cioè quello che, se la vittima è una donna straniera è una cosa, se è italiana è un'altra, e se il violentatore è straniero o invece italiano è un'altra cosa ancora”, tutti sintomi, questi, del “non andare alla radice del problema, che sono i comportamenti di possesso, di dominio, di non rispetto dell’altra”. Il che spiega “l’urgenza” di scendere in piazza di fronte a “un mondo che arretra invece di farsi le domande giuste”.

“Non c'è dubbio – prosegue – che c'è una fortissima responsabilità dell'informazione, della politica, della magistratura. Parliamo di tutti coloro che sulla scena pubblica hanno la funzione di informare, di proporre, di commentare, e si comportano come se le parole non avessero un peso, non avessero un senso, non determinassero poi delle reazioni. Mentre le parole sono pesantissime e diventano anche armi pericolose, e un uso sbagliato delle parole è una nuova forma di violenza”. Da qui il titolo dell’appello lanciato dalla Cgil: “Avete tolto il senso alle parole”.

Camusso punta anche il dito contro le responsabilità della politica e delle amministrazioni locali (centri antiviolenza che chiudono o rischiano di chiudere, depenalizzazione del reato di stalking, ecc.). Responsabilità “duplici”. Da un lato la “disattenzione, le dimenticanze” delle amministrazioni nello stanziare e attribuire i fondi ai centri antiviolenza. Dall’altro le responsabilità istituzionali, che si sono palesate “nell’inconsapevole indebolimento del reato di stalking”, nell'idea “che possa essere risolto con una multa, mentre la vittima non viene neanche ascoltata”. Si tratta di una mancanza di priorità e di attenzione al tema della violenza sulle donne che affligge “l’agenda politica” e le scelte che ne conseguono.

Manca del tutto, insomma, “un'idea di società e di convivenza” e, di fronte a temi come le violenze domestiche e familiari e le relazioni tra i generi, è quasi del tutto assente, soprattutto tra gli uomini, la “disponibilità collettiva a discuterne”.

Per questi motivi sabato 30 settembre le donne (e gli uomini) richiamate dall'appello promosso dalla Cgil occuperanno anche simbolicamente le piazze e le strade di tante città. Poi, dal giorno dopo, “dovremo continuare a cercare delle occasioni – prosegue Camusso – per rompere l’isolamento e la solitudine delle vittime”. “Sappiamo molto bene quanta fatica si faccia a denunciare le aggressioni”, osserva il segretario Cgil e ravvisa una pericolosa “fuga dal chiedere giustizia, perché molte donne non vogliono essere violentate o mortificate due volte”, prima dagli aggressori, poi dalle cronache e dal sistema processuale. Dinanzi a questa sensazione che sia impossibile difendersi occorre una “mobilitazione che non scemi in attesa del prossimo episodio di violenza”. “Dobbiamo riprenderci la nostra libertà – conclude Camusso –, riprendercela perché viene messa in discussione, riprendercela perché è l'unico messaggio positivo per il futuro che si può dare alle donne di tutte le età, riprendercela e quindi manifestare perché dobbiamo farla vivere come un’esigenza inderogabile”.