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Il 110° anniversario della Cgil, che il sindacato festeggerà oggi, giovedì 29 settembre, in piazza del Popolo a Roma, è anche il momento adatto per fare un bilancio dell’attività svolta negli ultimi mesi. Ne è convinta il segretario generale Susanna Camusso, che ai microfoni di RadioArticolo1 ha ricordato la coincidenza di questa importante ricorrenza con la consegna alla Camera delle firme per la legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali dei lavoratori.
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“Abbiamo svolto un lavoro straordinario, e il fatto che questi due eventi coincidano è una scelta chiara e strategica – ha detto la numero uno di corso d’Italia –. Abbiamo affrontato un lungo viaggio che ci ha messo in contatto con tanti cittadini e tanti lavoratori. Dalle molte occasioni di dibattito traiamo quindi un bilancio ampiamente positivo, perché ci siamo confrontati sui grandi temi del lavoro e sulla grande emergenza della disoccupazione giovanile”.
“Eppure – ha poi ammesso Camusso –, questo percorso ha anche evidenziato gli ovvi limiti della nostra organizzazione. La campagna delle assemblee che ha preceduto la raccolta delle firme è stata un ritorno nei luoghi del lavoro dopo una stagione difficile, in cui è mancata l’abitudine di andare a discutere con i lavoratori dei grandi temi generali e delle prospettive del nostro Paese”.
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Questa mancanza, per il segretario della Cgil, “è in parte spiegata dalla crisi economica e dalla politica di difesa che la Cgil ha dovuto mettere in atto negli ultimi tempi”. Ma c’è stata pure “una sorta di ripiegamento su noi stessi, che ora vogliamo contrastare”. Non è dunque un caso se nella sua ultima Assemblea generale la confederazione ha deciso “di non archiviare questa esperienza, ma di portarla avanti, per recuperare la capacità di tenere insieme la strategia con il lavoro quotidiano. E così rilanciare la nostra capacità di contrattazione”.
Questa azione, sempre secondo Camusso, acquista ancora più importanza all’interno dell’attuale mondo del lavoro. Un contesto nel quale “il dilagare della precarizzazione, del lavoro in appalto e dei voucher fa in modo che a pagare la crisi siano sempre gli ultimi”. I dati, ma anche il clima che si respira nel Paese, “ci dicono che il Jobs Act non serviva, e che non ha dato le risposte di cui avevamo bisogno. E che continua la lunga stagione di politiche di riduzione dei costi che mettono a repentaglio anche la sicurezza sul lavoro”. Lo dimostra anche la cronaca più recente: “La filosofia del Jobs Act non poteva determinare alcuna soluzione, perché in Italia abbiamo il problema di competere in qualità del lavoro, non di ridurre i costi”.
I pericoli per il nostro Paese, quindi, sono in questo momento altissimi. Camusso li legge sopratutto nel rischio “di perdere una seconda generazione”, dopo aver dissipato quella dei giovani “precari e precarizzati”, in continua rincorsa di lavori per sopravvivere o “costretti ad andarsene dall’Italia per trovare un lavoro dignitoso”. La nuova generazione, ora, sta vivendo “l’epoca dei voucher, senza nessuna prospettiva”. La sensazione, dunque, è che nella tanta demagogia che si sente in giro “non ci si accorge che il Paese sta perdendo il suo futuro per colpa di una visione miope. Il governo non discute mai di disuguaglianze, e non le affronta come tema che attraversa tutte le politiche del Paese. Manca un progetto complessivo”.
I festeggiamenti per il 110° anniversario della Cgil portano ora alla ribalta una lunga storia, e anche parole come “classe operaia”, “diritti”, “movimento dei lavoratori”, “conflitto tra capitale e lavoro”. Parole che, dice ancora Camusso, “anche se abrogate dal linguaggio corrente, continuano ad avere una straordinaria attualità”. Perché “la stratificazione in classi e il conflitto determinato tra chi presta la propria opera e chi agisce per conto del capitale restano”.
Bisognerebbe quindi “iniziare a discutere di nuovo di capitale, e si dovrebbe farlo in Europa. Perché sta venendo sempre meno quella mediazione politica tra capitale e lavoro che in passato ha reso il nostro continente il laboratorio del welfare mondiale. Il venir meno della mediazione politica e la supremazia dell’economia è una delle cause della recessione e della crisi di fiducia nelle istituzioni e nel lavoro che stiamo vivendo”.
“Per questo, oggi – ha concluso Camusso –, dopo 110 anni di storia, anche se in condizioni diverse e dopo cambiamenti sociali straordinari, esiste ancora lo stesso bisogno di continuare a dire che il lavoro è il tema centrale di un Paese e della sua definizione. E forse questa è la ragione per cui in tutto questo tempo non abbiamo avuto il bisogno di cambiare nome o di cambiare bandiera. E neanche di rivedere lo strumento fondamentale della nostra ragion d’essere, che è quello di far partecipare i lavoratori alla nostra organizzazione”.
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