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“Legare il lavoro al concetto di connessione, non più soltanto al luogo fisico. Ecco la sfida che vogliamo lanciare. Perché il tema al centro di Industria 4.0 non può essere soltanto aumentare il numero dei macchinari. Quello che oggi e in futuro farà la differenza è proprio la connessione. È questo il grande passaggio, il senso principale della 'rivoluzione digitale', che io preferisco chiamare così, anziché quarta rivoluzione industriale. Vogliamo e dobbiamo ragionare sulla centralità delle connessioni, sia tra gli oggetti, cioè l'Internet delle cose, sia tra gli oggetti e le persone”. Paolo Terranova, presidente di Agenquadri, presenta così l'Assemblea di programma che si svolge oggi, 19 gennaio, a Roma.
Rassegna Partiamo allora da Industria 4.0. O, forse, sarebbe meglio dire dai cambiamenti tecnologici in corso...
Terranova Industria 4.0 è ormai diventata un'espressione con cui si tende a identificare una fase di cambiamento. Ma nel significato originario è una strategia messa in piedi dal governo tedesco e ripresa in parte dal nostro Paese, che in estrema sintesi affronta la transizione con il modello della fabbrica intelligente. Gli americani, per esempio, la guardano in un altro modo, sono più attenti alla domanda. La versione tedesca e in parte italiana, invece, ha il limite di guardare solo all'offerta, al lato industriale. D'altronde l'ha pensata il governo di Berlino in funzione delle proprie imprese manifatturiere, non poteva essere altrimenti. Così facendo, però, si tralascia la domanda, e dunque il come si trasformano i prodotti e i servizi, non solo i processi.
Rassegna Quali sono le conseguenze sul mondo del lavoro e in particolare su quello da voi rappresentato?
Terranova Se nella prima fase, quella di Tempi moderni, l'automazione riguardava solo l'operaio, oggi il campo si è allargato. E nel frattempo nel mondo del lavoro si cominciano a vedere gli effetti della polarizzazione, per cui hai un aumento delle professionalità molto alte e di quelle molto basse e meno sicure, legate alla gig economy. Due estremi in cui il sindacato si è strutturato meno. Come fronteggiare questa polarizzazione? Ne parleremo passando dalla riflessione programmatica a quella congressuale, è una questione che rimarrà aperta per le discussioni dei prossimi mesi. Intanto, sappiamo che i lavori più forti saranno sempre di più quelli che hanno a che fare con la creatività e con le relazioni umane, cioè l'unica cosa che non può essere robotizzata. Usciamo da un secolo in cui è stata la specializzazione tecnica a fare la differenza. Su questo abbiamo costruito tutto, compresi i contratti. Passare all'epoca della connessione significa allora molte cose: le competenze più importanti smetteranno di essere legate alla specializzazione e cederanno il passo alle relazioni.
Rassegna Quali devono essere a tuo giudizio le priorità del sindacato nel gestire questa transizione?
Terranova Quando aggiungi un robot – ovviamente non nel senso di un macchinario, qui parliamo di automazione e software – è chiaro che aumenta la produttività tecnica. Che tutto ciò, però, debba andare a scapito del lavoro e a favore del profitto dell'impresa… ecco, questo è un principio sostenuto dall'imprenditore, spesso senza neppure dichiararlo. Ma non è per forza così. La posizione sindacale può essere un'altra, quella di utilizzare una parte dell'aumento di produttività per ridurre l'orario di lavoro e aumentare l'occupazione, proprio come fece il movimento operaio alla sua nascita nella seconda rivoluzione industriale, quando si pose il limite delle 8 ore. Muta la tecnologia, lo schema rimane lo stesso.
Rassegna Quali conseguenze ci saranno sulla contrattazione?
Terranova Al tema dell'autonomia per ovvi motivi i quadri ci sono arrivati un po' prima. Ma in generale c'è sempre stato un “interruttore” che stabilisce l'inizio e la fine della giornata lavorativa. Varcata la soglia della fabbrica o dell'ufficio, comincia l'orario, timbri il cartellino e si attiva tutto, fino all'uscita. Oggi tendenzialmente non è più così. Per alcuni lavori è la connessione ad attivare il processo e questo modifica i vincoli di luogo e di orario. Cambia anche, però, il livello di intermediazione, sia con i colleghi sia con il capo. In teoria si ha più autonomia, in pratica è da vedere, perché se si lascia tutto in mano a un algoritmo la situazione potrebbe peggiorare.
Rassegna Per tutti questi motivi si parla anche del diritto alla disconnessione. Cosa proponete?
Terranova Per noi lo schema migliore resta quello scritto nella Carta dei diritti della Cgil. Cioè l'idea che hai l'affermazione di un diritto a livello universale, come quello alla disconnessione, appunto, che poi può diventare praticabile. Sicuramente sarà più semplice regolarlo a livello aziendale o settoriale, anziché fare una legge nazionale che stabilisce un diritto alla disconnessione uguale per tutti.