E’ sciopero nazionale dei call center, il prossimo 21 novembre: lo hanno indetto i sindacati del settore (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) promuovendo una manifestazione a Roma (corteo da piazza della Repubblica e conclusioni in piazza del Popolo). La seconda giornata nazionale di protesta nazionale del settore si svolgerà nell’ambito di un evento più ampio, una vera e propria notte bianca dei call center in cui le organizzazioni sindacali inviteranno mondo della cultura, dello spettacolo, della società civile e della politica a confrontarsi con i lavoratori del settore e a solidarizzare con loro.

Tra i casi da ricordare, quello di British Telecom e Accenture con 262 licenziamenti già decisi, E-Care che potrebbe chiudere la sede milanese lasciando a casa oltre 500 persone. E nelle prossime settimane, con le gare per Enel e Comune di Roma, c'è il rischio di ulteriori centinaia di licenziamenti.

“Quanto sta accadendo – ricordano i sindacati - era stato previsto e preannunciato, tanto che il governo aveva avviato, nel mese di giugno, un tavolo di crisi per il settore. In tale occasione le Organizzazioni Sindacali avevano evidenziato come, l’errata trasposizione della Direttiva Europea 2001/23 sulla tutela dei lavoratori, con la mancata estensione delle tutele previste dall’articolo 2112 del c.c. in occasione della successione o cambio di appalti ha creato in Italia un vuoto normativo che consente di creare crisi occupazionali esclusivamente per ridurre il salario dei lavoratori e ridurne i livelli di diritti”.

A ciò si aggiungono gli incentivi per le nuove assunzioni già oggi previsti dalla legislazione, legge 407/90, per le regioni del sud che prevedono il mancato versamento contributivo per i primi tre anni.

Secondo i sindacati, “il combinato disposto delle due norme crea le crisi occupazionali odierne, che non sono determinate da un calo dell’attività lavorativa, ma unicamente dall’opportunità concessa al committente di cambiare liberamente il fornitore del servizio senza essere tenuto a garantire la continuità occupazionale a quei lavoratori che già prestavano la propria attività. In questo modo – spiegano le organizzazioni dei lavoratori - il committente mantiene basso il costo con gli sgravi contributivi permanenti e le retribuzioni dei lavoratori ai minimi contrattuali e senza anzianità mentre lo Stato paga due volte, gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e gli incentivi per le nuove assunzioni, senza creare nemmeno un posto di lavoro nuovo”.

I sindacati ricordano che negli altri paesi europei il recepimento della direttiva su citata ha portato al varo di leggi che direttamente, come nel caso della TUPE inglese, o con rimandi ai contratti di lavoro, come nel caso spagnolo, impone di garantire continuità occupazionale in caso di successione di appalti per le stesse attività. In questo modo quei mercati hanno deciso di premiare le aziende che investono in tecnologia e che riescono ad essere efficaci sviluppando ed investendo in IT e ricerca.

L’Italia invece – si legge sempre nel documento di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil – “premia l’imprenditore più spregiudicato che viola regole e leggi e in questo modo comprime il costo del lavoro, chi invece prova a competere nel rispetto delle regole viene messo fuori mercato con la conseguenza che i lavoratori saranno licenziati. Il governo – prosegue la nota –, in una prima fase, aveva ritenuto giuste le rivendicazioni sindacali nonché doveroso provare a dare una risposta ai lavoratori. Dopodiché, le pressioni esercitate dalla committenza che immaginiamo non esser mai state effettuate alla luce del sole, hanno portato il governo a ritirarsi e non convocare più il tavolo sui Call Center che invece viene sbandierato nelle risposte alle interrogazioni parlamentari dal ministro di turno”.