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Per i call center è ormai una crisi senza fine. Appalti al massimo ribasso, delocalizzazioni, cessioni di rami d’azienda, stanno distruggendo un settore che, soprattutto nel Mezzogiorno, era divenuta la nuova “grande industria”. Si tiene oggi (martedì 9 febbraio) lo sciopero nazionale, con presidio a Roma presso il ministero dello Sviluppo economico (a partire dalle ore 10), dei dipendenti della Gepin Contact, ex call center di Poste Italiane. A proclamare l'astensione dal lavoro per l' intero turno di tutto il personale sono le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl Telecomunicazioni “per la difesa dei posti di lavoro e a supporto della vertenza”.
In Gepin Contact, spiegano i sindacati, la situazione “recentemente è diventata sempre più difficile a causa della perdita della commessa principale dei servizi di Contact Center di Poste Italiane, assegnata al massimo ribasso a prezzi stracciati, che sta determinando un esubero di circa 450 lavoratori sui 600 complessivamente impiegati nel gruppo”. Gli ammortizzatori di cassa integrazione ordinaria, conclude la nota, sono ormai “in fase di esaurimento e nessuna nuova commessa, malgrado le promesse iniziali, è stata acquisita dalla nuova proprietà societaria”.
La Gepin Contact ha sedi a Casavatore (Napoli) e a Roma, e da 13 anni gestiva il call center nazionale del servizio postale, che rappresentava la commessa più importante. Gli ultimi due anni sono stati segnati, da un lato, da cambi di gestione, acquisizioni e mutamenti di progetto che hanno indebolito la società, dall’altro, dalla mancata partecipazione (per una complicata questione di conflitto di interesse) ai nuovi bandi di gara. Appalti che vengono però contestati dalla Slc Cgil, che nei giorni scorsi ha denunciato la vicenda in una conferenza stampa organizzata a Montecitorio, assieme al presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e al deputati Pd Marco Miccoli.
“Poste ed Enel bandiscono gare di appalto per l’assistenza dei loro clienti a un prezzo che non fa coprire alle aziende che vincono neanche il costo del lavoro minimo dei loro dipendenti” ha affermato il segretario nazionale Riccardo Saccone: “La commessa di Poste è stata data a 0,29 centesimi di euro al minuto, che sviluppa un prezzo ridicolo di quattordici euro l’ora complessivo. A fronte di un ‘prezzo di sicurezza’ che dovrebbe aggirarsi sui 27-28 euro all’ora per permettere una giusta retribuzione al lavoratore, un guadagno legittimo al datore di lavoro e anche di investire qualcosa in innovazione e ricerca”. Anziché straparlare di libera concorrenza, ha concluso l’esponente della Slc Cgil, tutta la politica “dovrebbe aiutare i vertici di Poste, un’azienda pubblica che dovrebbe avere ancora più attenzione alla responsabilità sociale, a comprendere la gravità del proprio errore. La competizione deve essere regolata in maniera precisa, altrimenti finisce per essere solo la sopraffazione del più debole a opera del più forte o, peggio, del più furbo”.