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“Le Forze Armate si chiamano così perché dispongono di armamento per svolgere il proprio compito”, ergo, i 90 caccia F35 ci vogliono, anche perché l'Italia è un Paese della Nato, e quindi deve “essere corresponsabile delle risposte che la comunità internazionale dà alle crisi”. Giocando un po' con le parole si potrebbe dire che il ministro della Difesa Di Paola ha azionato la “contraerea”, in risposta al “furore ideologico” che si respira nell'aria contro le Forze Armate.
In un intervista al Corriere della Sera il ministro della Difesa torna dunque sulle spese militari e difende l'operato del Governo: “Tuteliamo investimenti e 10 mila posti'”, “veniamo da un taglio da 1,5 miliardi nella precedente legge di stabilità. Siamo l'unica amministrazione che ha avuto un'attenzione così marcata”. 'Nel triennio 2013-2015 - prosegue - dovremo fare a meno di 18mila unità militari. A questo va ad aggiungersi il taglio di 3 mila civili su 30 mila. Non si possono fare maggiori tagli - ribadisce - perché non avremmo più la capacità operativa per svolgere il nostro compito”.
Sui tagli alla dirigenza richiesti dalla spending review poi, Di Paola afferma: “Anche qui si è chiesta la testa dei re, degli 'alti papaveri', c'è questo spirito ghigliottinesco”. Il ministro della Difesa interviene anche su Finmeccanica: “Non è un giocattolo - sottolinea -. Sta andando incontro con tutto il settore a una ristrutturazione: lasciamo lavorare i vertici”.
Ma la campagna per il taglio delle spese militari e contro l'acquisto dei caccia F-35 continua. Qualche giorno fa in una conferenza stampa tenuta al Senato della Repubblica i coordinatori delle tre organizzazioni promotrici della campagna contro l'acquisto degli aerei militari, Giulio Marcon (Campagna Sbilanciamoci!), Flavio Lotti (Tavola della Pace) e Francesco Vignarca (Rete Italiana per il Disarmo) hanno illustrato le ragioni per cui, secondo loro, l'Italia deve uscire dal programma di acquisto.
“Con la spesa complessiva prevista nel corso degli anni per gli F-35 si sarebbero potute evitare le scelte più rovinose confermate nei giorni scorsi – ha spiegato Giulio Marcon coordinatore di Sbilanciamoci! - il taglio agli enti locali, la riduzione dei posti letto negli ospedali, le misure di revisione del sistema delle tasse universitarie. Ad esempio con il risparmio della mancata acquisizione di 10 caccia bombardieri F-35 avremmo potuto salvaguardare i 18mila posti letto che verranno tagliati negli ospedali nei prossimi mesi”.
“E poi – hanno aggiunto Lotti e Vignarca - tutti i paesi partner si stanno attualmente interrogando sull’opportunità della propria partecipazione (Stati Uniti compresi). Da ultimo, la scorsa settimana, in maniera compatta, il Parlamento olandese ha votato una risoluzione per uscire dal programma dando indicazione in tal senso al governo che uscirà dalle elezioni, mentre l’Australia ha deciso a maggio di spostare di ulteriori due anni la propria decisione di acquisto. Roventi polemiche sono invece in corso sia in Canada che in Norvegia perché le scelte di partecipazione al progetto JSF sono derivate da dati fasulli ed incompleti forniti deliberatamente da ufficiali militari favorevoli al caccia F-35”.