“Nel lessico dei governi ‘salvo intese’ significa che nemmeno i ministri sono d'accordo. Non mi pare che il disegno di legge sia il veicolo migliore per la riforma che il premier Mario Monti è stato chiamato a fare”. Renato Brunetta fa il punto con Il Giornale sul problema lavoro nel nostro paese.  “Non è un problema di ammortizzatori, né di tasso di disoccupazione. Semmai di tasso di occupazione. Da noi mancano all'appello tre o quattro milioni di posti regolari. Se avessimo lo stesso tasso del Regno Unito, che ha più o meno il nostro pil, dovremmo avere 26 milioni di occupati, mentre ci fermiamo a 23 milioni”. Quelli che mancano alla conta “sono posti che esistono ma sono sommersi. A me pare che l'Italia su questo tema sia fondata più sull'ipocrisia che sul lavoro. Marco Biagi ci ha provato, le sue leggi hanno aumentato comunque l'occupazione regolare, ma il suo progetto non è stato completato”.

“II problema è culturale – dice ancora Brunetta –. La flessibilità non può essere il rinnovo perpetuo di contratti a termine. Nemmeno l'abuso dei contratti parasubordinati. Su questo hanno pesato comportamenti opportunistici che fanno parte della cultura di alcune imprese italiane”.

Sulla riforma Fornero, l’ex ministro della Funzione pubblica conclude: “Se il governo avesse voluto dare un segnale chiaro avrebbe dovuto varare un decreto sull'articolo 18 e sulla giustizia del lavoro, per dare all'Italia un regime sui licenziamenti individuali simile a quello europeo e una giustizia con tempi e con un equilibrio europei. Non c'era bisogno di altro”.