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Smartwatch, braccialetti, cuffiette: ci sono casi in cui la tecnologia anziché aiutare i lavoratori può contribuire a renderli sempre più dipendenti, controllabili e fragili. Spesso però il problema non è la tecnologia in sé, ma l’uso che se ne fa, l’idea di lavoro che ne è alla base. Il tema – che si ripropone a ogni grande rivoluzione tecnologica – è assurto di nuovo agli onori della cronaca e della riflessione dopo l’annuncio di Amazon: il colosso americano sta brevettando un braccialetto che dovrebbe guidare i lavoratori tra gli scaffali dei suoi enormi depositi per aiutarli a non sbagliare nella scelta delle merci da prelevare, impacchettare e successivamente spedire, sostituendo così il vecchio “puntatore” manuale.
Non si tratta di una novità assoluta: sistemi simili che possono trasformarsi in strumenti di controllo a distanza sono stati utilizzati nelle farmacie, in alcune Asl (a Salerno), addirittura in una storica pasticceria di Torino, la “Bertelli”. Qualche volta col consenso dei lavoratori, altre volte no. Non ha dubbi Federico Butera, professore emerito di Scienza dell’organizzazione alla Bicocca di Milano: “Sgombriamo subito il campo: rispetto al fatto che i braccialetti possano essere utilizzati per controllare a distanza i lavoratori, ci sono delle norme che dicono chiaramente che non si può fare. Detto questo, io credo che la questione in gioco sia un’altra. È chiaro che la tecnologia può anche renderci schiavi, ma lei pensi a un pilota. Il 99 per cento delle operazioni che avvengono su un velivolo sono governate dalle tecnologie informatiche. Tuttavia, nessuno penserebbe mai che il pilota di un aereo sia un automa, perché le decisioni chiave che devono essere prese rimangono nelle sue mani”.
Innovazione o controllo?
Dobbiamo dunque abituarci a tecnologie sempre più sofisticate che possono essere di aiuto e di supporto nelle operazioni e nelle scelte dei lavoratori senza però renderli schiavi e alienati. “La questione del braccialetto ne porta dunque a galla altre fondamentali – riprende lo studioso –. Come si lavora in Amazon? Come vengono disegnati i ruoli, i gruppi di lavoro? Quale autonomia hanno i lavoratori e quale posto occupano nel miglioramento continuo dei processi produttivi? Lo sciopero che c’è stato in Italia nel giorno del Black Friday ci dice che essi non sono affatto contenti”.
I lavoratori semirobotizzati raccolgono dati che un giorno serviranno a sostituirli con le macchine
Meno convinto della neutralità, in questo caso, della tecnologia è Arturo Di Corinto, esperto di cultura digitale e direttore della comunicazione del Laboratorio nazionale di cybersecurity: “Il braccialetto che aiuta il lavoratore a individuare con maggiore celerità le merci sullo scaffale fornisce all’azienda una serie di informazioni e indicazioni che in futuro potranno essere utilizzate per sostituire con le macchine quello stesso lavoro”. Insomma, metaforicamente, lo aiuta a suicidarsi. E non si tratta di una prospettiva fantascientifica, se è vero che Mc Kinsey valuta che il 49 per cento delle ore lavorate potrebbero essere teoricamente computerizzate, mentre in Europa il saldo tra operai e impiegati esecutivi che perderanno il lavoro da una parte e nuovi lavori qualificati dall'altro potrebbe essere a meno 30 per cento. Con il paradosso che sarebbero gli stessi lavoratori “semirobotizzati” a fornire informazioni utili a renderli tra qualche anno sostituibili.
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Non tutti fanno previsioni così apocalittiche. Secondo Alessio Gramolati, che per la Cgil segue la partita di Industria 4.0, “il trasferimento di metodi e conoscenze c’è sempre stato: prima da lavoratore a lavoratore, poi da lavoratore a macchina. Basti pensare a quello che è accaduto tra gli anni 70 e 80 con il controllo numerico, ma tutto ciò non ha prodotto una riduzione dell'occupazione in termini generali”. Di Corinto segnala poi un altro nodo importante, probabilmente il più grave tra quelli in gioco. Il possibile controllo a distanza attraverso il braccialetto “non solo sottrae privacy ai lavoratori, ma ne compromette fortemente la dignità. Qualora fosse effettivamente realizzato e introdotto all’interno dei luoghi di lavoro, influenzerebbe i comportamenti muscolari delle persone. Il dispositivo, infatti, ne indirizza direttamente il movimento delle mani e del corpo. Diventa così una sorta di telecomando: nessun confronto è possibile con le esperienze del passato, neanche con la più dura delle catene di montaggio”.
La riproposizione di un modello arcaico fondato sulla gerarchia danneggia l'innovazione che ha bisogno di scelte condivise
Insomma: che l’innovazione si trasformi in una sorta di Leviatano che schiaccia l’uomo fin quasi a renderlo inutile è un’eventualità che va evitata. “Si rischia la riproposizione di un modello arcaico giocato tutto sulla gerarchia, sui comandi e sul controllo – riprende Gramolati –. Un approccio che paradossalmente danneggia la stessa innovazione, facendola percepire come una sorta di minaccia contro le persone anziché come uno strumento di miglioramento e di alleviamento della fatica. La tecnologia può rappresentare uno straordinario motore, ma per farlo serve un ‘ambiente’ favorevole in cui crescere e soprattutto della partecipazione attiva dei lavoratori stessi”.
Bisogna rifiutare anche un’idea banalizzante dell’innovazione stessa, “quella per cui le imprese comprano semplicemente dei macchinari, anche grazie alle agevolazioni di Industria 4.0, dopodiché si schiaccia un bottone e ci si trova proiettati nel futuro. Ma la realtà è un po’ più complessa”, ironizza Luca Beltrametti, che dirige il dipartimento di Economia dell’università di Genova –. Naturalmente è giusto aver incentivato gli investimenti delle aziende, continua l’economista, “ma la sfida conseguente è quella di pensare un modello creativo di lavoro. Un'impresa che usa nuove tecnologie meramente in una logica di controllo oppressivo non solo fa una cosa sbagliata, ma a mio avviso anche sciocca. Il reale potenziale dell’innovazione è quello di generare aumenti di produttività che derivano dallo sviluppo di nuovi modelli organizzativi, nuovi modelli di business e nuovi prodotti. Del resto, se uno guarda al passato si accorge che gli aumenti salariali per i lavoratori sono arrivati sempre quando le innovazioni tecnologiche sui luoghi di lavoro si sono sviluppate in modelli corretti e adatti alle singole realtà”.
La sfida del futuro è quella di pensare a un modello creativo di lavoro
Qualcosa di simile a quanto accaduto nelle scorse settimane in Germania con l’accordo territoriale siglato da Ig Metall e imprese nel Baden-Württemberg: “L’orario a 28 ore – riprende Beltrametti – offre una dimostrazione chiara di come la flessibilità resa possibile dalle nuove tecnologie e dall’aumento della produttività non debba essere solo a beneficio delle imprese, ma anche della vita delle persone, e pure in termini salariali. Il fatto che questo accordo arrivi dal cuore nevralgico dell'industria manifatturiera tedesca, che a sua volta è l’industria più digitalizzata d'Europa, ci fa ben sperare per il futuro”. Se invece il progresso alla fine porterà solo a un arricchimento smisurato del Bezos di turno, per tornare ad Amazon, andremo davvero a sbattere contro un muro: ci sarà soltanto un piccolo manipolo di vincitori e una massa enorme di sconfitti. E sarà sempre più difficile poi lamentarsi dei risorgenti populismi e nazionalismi protezionistici.
Il ruolo del sindacato
Insomma: segnali positivi ci sono e l’innovazione è una strada che va colta e governata, anche per il sindacato, altrimenti non si riesce a incidere su processi in atto che sono difficilmente reversibili. Rivendicare, dunque, e contrattare. Sul primo fronte, gli scioperi in Amazon e Ryanair, le prime proteste dei ryder – impensabili fino a pochi mesi fa – ci dicono che la pax artificiale nel mondo delle grandi piattaforme, quelle in cui l’innovazione è giocata più spesso in termini gerarchici e autoritari che partecipativi, sta andando in crisi.
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Ma non basta, spiega Gramolati, bisogna fare quello che è stato fatto con i “tempi e metodi” della catena di montaggio: “A un certo punto si è detto: quei tempi e quei metodi li vogliamo contrattare. Non possono essere più decisi unilateralmente dal padrone”. E allora, se l’essere connessi e dunque essere potenzialmente sempre a disposizione grazie a un tablet o a uno smartphone rappresenta per l’azienda un valore, “ebbene – attacca il sindacalista – questo valore non può andare tutto a favore dell’azienda, ma va contrattato e redistribuito in parte anche ai lavoratori, come salario e/o tempo di vita. È una questione che si sta cominciando ad affrontare in tutta Europa. In Francia è la legge ad aver stabilito il diritto alla disconnessione. In Germania si sta perseguendo una via contrattuale, come anche in Italia, dove nel contratto della scuola è stato per la prima volta inserito il diritto alla disconnessione. Non sempre è facile: nel lavoro intellettuale è difficile disconnettersi e allora vorrà dire che in questo caso dovranno essere riconosciute, ad esempio, delle ferie in più o una contropartita retributiva. Insomma: ci deve essere uno scambio reciproco che distribuisca a entrambe le parti il vantaggio generato dall'utilizzo delle nuove tecnologie”.
Il sindacato ha un ruolo cruciale: contrattare l'innovazione. Se non lo fa rimane fuori dai processi in atto
Naturalmente l’azione del sindacato deve servire anche, e torniamo ai braccialetti, a evitare gli abusi di questi strumenti, per taluno resi più insidiosi dalle modifiche che il Jobs Act ha introdotto nell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, quello che regola i controlli a distanza. Recentemente i lavoratori della Dab, un’azienda metalmeccanica del padovano, sono riusciti a bloccare l’utilizzo di Smartwatch per ottimizzare il lavoro perché ritenuto lesivo della propria libertà. “Il problema che nella nostra attività ci troviamo sempre più spesso ad affrontare – racconta Tiziana Basso, della Cgil del Veneto – è quello della mancata condivisione con i lavoratori che generalmente si trovano in mano uno strumento che non capiscono bene come funzioni o a cosa realmente serva, e che le aziende cercano generalmente di imporre senza discuterne con i sindacati. Dove invece questo accade i risultati sono positivi”.
Per Basso, dunque, l’innovazione non va contrastata ma governata. E cita il caso di un’altra azienda metalmeccanica dove ai lavoratori sono stati forniti degli Ipad per svolgere al meglio la loro mansione: “Il primo approccio è stato molto pesante; poi però, grazie a un accordo sindacale, siamo stati in grado di ottenere che il tablet non venisse usato per controllare gli spostamenti delle persone, ma solo per ottimizzare il lavoro”. È la conferma, conclude Gramolati, che “se i lavoratori sono partecipi di un processo e vengono coinvolti nella fase di progettazione del progetto stesso, diventano acceleratori di innovazione. Se li si vuole tenere in una posizione passiva e subordinata diventano, comprensibilmente, un elemento di resistenza”.