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Di bonus in bonus, le diseguaglianze aumentano anziché diminuire, e le famiglie più bisognose rischiano di restare con un pugno di briciole in mano. Sul tema della maternità, il Patronato della Cgil sottolinea il paradosso che si sta affermando nel dibattito politico: proprio mentre l’Istat getta una luce inquietante sul grave fenomeno della denatalità in Italia e sulla mortificazione del desiderio di tante donne di fare figli – tradito dalla grave incertezza del loro diritto al lavoro – si moltiplicano le offerte “bancomat” nel grande supermercato dei bonus.
Distribuiti con criteri assai opinabili, degni della migliore campagna pubblicitaria, ce n’è per tutti, ricchi e poveri. Il premio alla nascita, una tantum di 800 euro per chi fa figli a prescindere dalla condizione di bisogno in cui versa la famiglia; il bonus bebé, per chi ha redditi entro i 25 mila euro annui, che viene riproposto nella legge di bilancio 2018, di 960 euro, se il neonato ha avuto la fortuna di nascere nel 2017, dimezzato, se invece vede la luce nel 2019 o nel 2020. Poi ci sono: il bonus asilo nido di 1.000 euro per tutte le future mamme, siano esse bisognose o facoltose, proprio come succede per il bonus cultura di 500 euro, in favore dei diciottenni, che ha ingenerato un poco edificante sotto mercato, soprattutto tra coloro, che non ne avevano davvero la necessità.
Ma la lista delle “offerte” non è finita; anzi, a queste vanno aggiunte altre prestazioni già in vigore da diversi anni, i cui criteri di riconoscimento variano in modo sostanziale e a volte addirittura contraddittorio, pur avendo la medesima finalità di sostenere la genitorialità, avvertono all’Inca. Sono legati a rigidi tetti reddituali il bonus bebé di 80 euro o di 160 al mese per tre anni e l’assegno per i nuclei familiari numerosi (di 141,30 euro mensili per 13 mensilità), mentre è totalmente svincolato da qualsiasi parametro reddituale se si vuole il voucher baby sitting, quello introdotto con la legge 92/2012. Di conseguenza, l’assegno di 600 euro mensili per un massimo di 6 mesi, alternativo al congedo parentale, è riconosciuto a tutte le lavoratrici madri, a prescindere dalle loro stato reale di bisogno. È invece subordinato all'Isee l’assegno pagato dai Comuni di 338,89 euro mensili per 5 mesi, ma con parametri diversi da quelli richiesti per i bonus bebé, e l’assegno ai nuclei familiari numerosi. Più circostanziato ancora è l’assegno di maternità pagato dallo Stato (di 2.086,24 euro), a cui potranno accedere lavoratrici occasionali, precarie o in cassa integrazione, purché abbiano almeno 3 mesi di versamenti contributivi precedenti il parto.
Per il riconoscimento delle prestazioni, le norme sono talmente complesse e slegate tra loro, al punto tale da consentire a chi ne fa richiesta di sommare le “offerte” di questo inedito supermercato, scegliendo tra i “bonus” che non sono incompatibili tra loro. Quindi, seguendo percorsi spesso poco chiari si può sommare il premio alla nascita con il bonus bebé, oppure con il buono nido, in alternativa al voucher baby sitting, a cui si possono aggiungere nel “carrello”, le detrazioni fiscali e l’assegno al nucleo familiare, ma sulla base di criteri eterogenei tra loro.
Insomma, più si allunga la lista dei bonus e più si complicano le cose; ed è altrettanto difficile immaginare che tali misure possano restituire alle donne il diritto di scegliere liberamente se e quando fare figli. “Non è certamente questa la strada da percorrere se si vuole agire per favorire la genitorialità – commenta, senza nascondere la delusione del dibattito sulla maternità, Morena Piccinini, presidente Inca –. È davvero mortificante dover constatare che su un tema delicato come la denatalità, la politica, i partiti e le istituzioni mostrino una totale insensibilità, limitandosi a interventi spot e a un'offerta, dal neppure tanto vago sapore elettoralistico, che tratteggia una carità pelosa, piuttosto che il riconoscimento reale del valore sociale della maternità”.