La radice del nome criptos (κρυπτς = nascosto, coperto) evidenzia la natura oscura di questo nuovo fenomeno finanziario in vertiginosa crescita. Opaco a partire dal meccanismo di coniazione, che si basa su algoritmi complessi, una sorta di esoterismo tecnologico comprensibile a pochi eletti. Come se ciò non bastasse, il possesso e la compravendita di criptovalute avviene nell’anonimato.

Una definizione standard di valuta dice che essa è “la moneta in circolazione e i titoli fiduciari che la rappresentano”, oppure “uno strumento per facilitare lo scambio di beni e servizi in una determinata area geografica”. Alla sua smaterializzazione dalla forma di monete metalliche o banconote a moneta scritturale siamo già abituati da molto tempo: a partire dagli antichi “pagherò” fino ad assegni, bonifici, righe di saldo in un conto corrente, carte plastificate. Tra non molto sarà sufficiente uno smartphone per lo scambio di beni e servizi, anche al di fuori della nazione di emissione.

La virtualità delle criptovalute non è quindi una novità. Inedite sono, piuttosto, altre caratteristiche: nessuna Banca centrale le emette e ne controlla il corso; non sono emesse da alcuno Stato o federazione di Stati e, di conseguenza, non ne rappresentano, seppure nel modo fittizio cui ci hanno abituato gli artifici del capitalismo, il valore della sua produzione nazionale o la potenza militare nello scacchiere internazionale. L’unica legge che determina la quotazione delle criptovalute è la legge di mercato della domanda e dell’offerta. Per questa caratteristica vengono esaltate dagli ultraliberisti, ma godono di qualche simpatia anche a sinistra, perché si sottraggono (apparentemente) al giogo coercitivo delle banche e degli Stati.

Non solo. Alcune criptovalute nascono per scopi sociali e di beneficenza, come AidCoin, creata da CharityStars. Senza contare che, nel campo della raccolta fondi, le valute elettroniche potrebbero garantire trasparenza nella raccolta e rapidità nell’utilizzo dei fondi come mai accaduto prima, tramite l’utilizzo del protocollo Blockchain e degli Smart Contract. Nei Paesi poveri iniziano a essere usate per finanziare microcredito, oppure per aggirare il blocco finanziario, come ha annunciato il presidente venezuelano Maduro con la criptovaluta nazionale Petro

Per capire l’impatto che potrebbero avere sull’economia reale dei prossimi anni, è necessario conoscerne almeno per sommi capi l’origine e il funzionamento. Bitcoin, la prima e più famosa criptovaluta, è nata nel 2009 da un ignoto creatore sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Fu stabilita all’origine anche la quantità massima di Bitcoin coniati, per scongiurare l’inflazione: 21 milioni, e a oggi ne sono stati coniati i tre quarti. Altre criptovalute nate successivamente non hanno alcun limite di coniazione. Teoricamente ognuno di noi con il proprio Pc potrebbe coniare una criptovaluta, ma nella realtà occorre una grande potenza di calcolo per elaborare i complessi e misteriosi algoritmi che ne determinano l’estrazione (mining).

Per acquistare e conservare criptovalute si deve aprire un portafoglio elettronico (wallet web, software o hardware). La sicurezza delle transazioni è garantita dalle chiavi crittografiche, una privata dell’utente e una pubblica verificata dalla rete. Un sistema di verifiche multiple degli utenti valida la transazione; tutte le transazioni, dalla nascita di Bitcoin in poi, sono scritte nei nodi di un database distribuito, la Blockchain (letteralmente catena di blocchi), e questo garantisce la storia e la sicurezza delle transazioni stesse. Possiamo immaginare la Blockchain come un grande Libro Mastro scritto sulla rete, un registro pubblico, un protocollo di certificazione di identità digitale che si sta affermando anche in altri ambiti, per esempio proprio nelle banche e assicurazioni. Queste ultime sono interessate a tutta la tecnologia che sta dietro il mondo delle criptovalute, non solo Blockchain (anche Ethereum e Smart Contract), e ne stanno studiando l’applicazione.

Decentralizzato e a partecipazione pubblica, il protocollo Blockchain è trasparente e democratico. Inizialmente pensato per essere gratuito, nel meccanismo di fatto sono state introdotte delle commissioni per velocizzare il processo di validazione delle transazioni. In meno di dieci anni, sono nate decine e decine di criptovalute, tanto che i siti web stilano una hit parade delle top 10 o top 20, una bolla in continua espansione che nel 2017 ha superato i 200 miliardi di dollari. Proprio sulla velocità di transazione degli scambi potrebbe giocarsi il destino di quelle che resteranno in vita nei prossimi anni.

Possiamo considerarle un nuovo mezzo di pagamento o una speculazione finanziaria? Pur chiamandosi monete virtuali, finora la diffusione e l’utilizzo preponderante può assimilarsi maggiormente a una speculazione alimentata dai lauti guadagni dati dalla crescita del cambio con le valute reali. Bitcoin nel 2017 ha avuto un incremento del 1.500%, l’astro nascente Ripple del 36.018%. Alti guadagni, ma anche alti rischi, a cominciare da quelli dovuti all’esposizione a virus e truffe informatiche, a eventuali perdite accidentali del portafoglio virtuale, alla totale assenza di regole.

Oggi il controllo dell’affidabilità degli operatori e il controllo delle truffe è nelle mani dell’accortezza del cliente. Le Ico (Initial coin offering) con cui si possono finanziare le startup comprando criptovalute sono terreno fertile per le truffe. La Cina le ha vietate e sta adottando misure per controllare gli scambi in criptovalute a tutela dello yuan, pur avendone coniata una made in China (Neo). Analogo blocco a tutela del rublo è stato messo dal governo russo. E tuttavia la criptovaluta si sta affermando anche come mezzo di pagamento, sebbene la lentezza delle verifiche Blockchain e la volatilità delle quotazioni, al momento ne ostacolino una rapida diffusione (www.coinmap.org è la mappa di chi accetta i pagamenti in criptovalute).

Ma qual è, sull’intricata vicenda fin qui descritta, la posizione del sindacato? Per la Fisac Cgil, che auspica l’abolizione o quanto meno la drastica riduzione dell’uso del contante come fattore anticorruzione e antievasione, le criptovalute, in qualità di moneta elettronica, possono assolvere a questo compito? Il fatto è che, in assenza di qualsiasi regolamentazione e garantite dall’anonimato, le criptovalute oggi rappresentano potenzialmente un diffuso paradiso fiscale su web e una ghiotta occasione di riciclaggio. Negli Usa è allo studio un disegno di legge per bloccare l’evasione fiscale e imporre l’antiriciclaggio anche alle criptovalute, mentre si stanno sviluppando dei software per stanare gli evasori.

E in Italia? Nel nostro Paese nel 2015 la Polizia postale ha sequestrato migliaia di portafogli elettronici utilizzati per riciclare proventi da traffico di armi, droghe e altri illeciti. Tramite prestanome, su piattaforme sicure come PayPal e con carte prepagate, possono essere trasferiti fondi e acquistate criptovalute, rivendute poi in pacchetti, riciclando in poche ore migliaia di euro. Per contro, la Bitcoin Foundation Italia replica che in realtà si sta creando un allarme mediatico non avvalorato dai dati, peraltro molto difficili da reperire. Secondo Bfi a venir garantito è lo pseudoanonimato e non l’anonimato, mentre è possibile risalire al possessore reale anche tramite software specializzati. Sta di fatto che a fine 2016 nessuna indagine della magistratura italiana è stata in grado di rintracciare chi si nasconde dietro gli intermediari del riciclaggio virtuale. Quel che è certo è che c’è molto da fare, e che non può essere fatto con i tempi del secolo scorso, sia in termini di adeguamento da parte del legislatore che di controllo da parte degli enti preposti (operatori finanziari, banche, Banca d’Italia).

Perché la verità è che questa bolla che sta gonfiandosi, totalmente slegata da produzione e merci, fuori controllo, generata da algoritmi, ci riguarda, perché nelle crisi chi paga di più non è l’oligarchia che l’ha provocata, ma sono gli ultimi, i meno abbienti, la classe dei lavoratori. E mentre le valute a corso legale stanno svalutandosi in rapporto alle criptovalute, mentre queste ultime stanno affermandosi come la maggiore valuta internazionale nelle capitalizzazioni del mercato, è impossibile per le Banche centrali, oltre che per quelle d’affari, restare fuori dal gioco. Ma si tratta di un gioco pericoloso, in quanto in grado di mettere in crisi la sovranità monetaria degli Stati, sostituita da una moneta speculativa in mano a privati, e con la quantità di circolante fuori controllo. Un potenziale fattore di destabilizzazione molto preoccupante, che lascia le redini dell’economia a quelle “acciarpature monetarie” da cui Marx ci metteva in guardia.