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“Purtroppo si confermano le analisi che da tempo continuiamo a fare. Cioè che se non si dà una giusta interpretazione sulle ragioni della crisi e si continua a perseguire il principio dell'austerità, la ripresa non verrà e di conseguenza. Nel frattempo, però, si ridurrà l'apparato produttivo, che in questi anni è calato del 25%, mentre aumenterà la disoccupazione e si impoverirà il paese”. E' quanto afferma Mauro Beschi, responsabile del dipartimento Politiche economiche della Cgil, commentando ai microfoni di Italia Parla, su RadioArticolo1, i recenti dati sulla disoccupazione e i lavoratori in sofferenza” (ascolta il podcast integrale).
“Secondo noi, invece, - continua Beschi - occorre intervenire con misure radicali e non convenzionali fondate soprattutto su due elementi: una riorganizzazione delle politiche europee, che deve consentire di dare spazi alle economie nazionali per poter mettere in atto investimenti pubblici che trascinino gli investimenti privati e i progetti di creazione diretta di lavoro. Se non si fanno queste cose non soltanto non invertiremo la tendenza ma il pericolo è di una deflazione del sistema.”
Per quanto riguarda la produzione industriale italiana in forte calo, secondo il sindacalista “c'è un problema strutturale e generale, cioè una ripresa molto forte dei paesi che prima consideravamo in via di sviluppo e che adesso sono diventate realtà economiche industriali molto importanti, quindi è del tutto naturale che il peso relativo della produzione italiana nel mondo diminuisca. Ma noi ci abbiamo messo del nostro, perché abbiamo distrutto in cinque anni un quarto della struttura produttiva, assecondandola con politiche sbagliate o inesistenti. Il secondo è che è la logica che ha spinto gli interventi della politica economica europea, ma anche italiana, ha favorito attraverso l'esplosione della precarietà, la riduzione dei diritti, un'idea di sviluppo fondato solo sulla competizione da costi che non risolve il problema, perché noi non potremo mai essere competitivi con i costi dell'India o della Corea o della Cina”.
Per questo, conclude, “dobbiamo costruire una competitività che si fondi su un'industria di qualità che deve avere dentro anche competenze, qualità del lavoro. E quindi spingere la produttività sul versante degli investimenti, dell'innovazione, del lavoro nella sua specializzazione qualitativa”.