Non basta chiamarsi Die Linke, Sinistra, per vincere le elezioni e sentirsi ormai parte integrante di un sistema politico a cinque partiti.
La crisi della Die Linke era palpabile da mesi, ma dopo le elezioni in Baden-Württemberg e in Rheinland-Pfalz è esplosa in maniera fragorosa. Non ce l’ha fatta a raggiungere il quorum del 5 per centro per entrare nei parlamenti di due dei più importanti Länder dal punto di vista economico-politico (insieme alla Baviera e all‘Assia) e poter festeggiare il tanto sbandierato e definitivo consolidamento anche all’ovest. Perché grazie a queste sconfitte Die Linke rimane sostanzialmente un partito forte elettoralmente all’est, nei Länder della ex DDR, e scarsamente presente all’ovest. La paura di perdere consensi anche a Berlino, dove governa insieme alla SPD, Brema e in Mecklenburg-Vorpommern, i Länder dove si voterà nei prossimi mesi, non fà dormire sonni tranquilli ai dirigenti del partito.
Persino i sondaggi nazionali danno il partito fermo al 9 per cento o in perdita di consensi. L’uscita di scena di Oskar Lafontaine, che ha lasciato la guida del partito per ragioni di salute e per concentrarsi sul suo lavoro di capogruppo in Saarland, non ha certo giovato. Anzi ha fatto esplodere alcune contraddizioni interne, sino a quel momento tenute sottotraccia dalla star del partito e capogruppo in Parlamento Gregor Gysi. Da un lato i cosiddetti realisti (Realos), per lo più funzionari provenienti dai Länder dell’est, che guardano con favore ad una partecipazione della Linke ai governi regionali, immaginano un partito di stampo socialdemocratico e non escludono di partecipare alla guida del paese, dall’altro (i Fundis), in gran parte all’ovest, quelli che vengono definiti gruppettari, settari, caotici, ipercritici su tutto, incapi di governare, nostalgici della DDR, ex sindacalisti arrabbiati, che escludono in assoluto la partecipazione ai governi regionali e al governo nazionale e vogliono un cambiamento radicale del sistema. Un altro sistema politico e economico senza però dire quali ne debbano essere le coordinate.
Come scelta di compromesso, a Oskar Lafontaine, è succeduta una doppia guida (sull’esempio dei Grünen) alquanto sbiadita e incapace di dare al partito un nuovo profilo: Gesine Lötzsch, a rappresentare l’est e Klaus Ernst, ex sindacalista della Baviera, a rappresentare l’ovest. Entrambi scivolati su bucce di banana prima delle elezioni: la Lötzsch per una sua uscita sui „percorsi verso il comunismo“ e Enst perché ama il lusso, le belle auto e soprattutto per non aver rinunciato al doppio stipendio di parlamentare e segretario del partito (a differenza della Lötzsch).
La bruciante sconfitta alla elezioni regionali ha fatto esplodere nuovamente il dibattito sulla guida del partito e sul suo posizionamento nel panorama politico tedesco. Gregor Gysi ha lanciato la possibilità che Lafontaine torni alla guida della Linke suscitando un nuovo aspro dibattito interno. Il vecchio tribuno, 67 anni, ha dichiarato di essersi ripreso completamente dopo l’operazione alla prostata e di non escludere un ritorno alla politica nazionale (anche se in realtà è sempre presente nei dibattiti televisivi) se la situazione della Linke diventasse drammatica. Su una cosa la base sembra concordare: l’esperienza della doppia guida Lötzsch-Ernst è da considerarsi conclusa, anzi è la peggiore che il partito abbia mai avuto.
Il problema della Linke tuttavia non è soltanto la guida del partito. Non basta infatti chiamarsi Linke per intercettare il consenso se non si ha la capacità di „parlare al cuore e alla testa della gente“, se non si è in grado di dire cosa si vuol fare di diverso dagli altri partiti, se non si è capaci di avanzare proposte per la risoluzione dei problemi che interessanto l’elettorato e l’intero paese. E dire che gli ultimi due anni di occasioni ghiotte per fare il pieno di voti ne hanno offerto in abbondanza. Il crack finanziario internazionale, il dibattito sul capitalismo rapace, la crisi dell’euro-zona, lo spauracchio della bancarotta per diversi paesi UE, i salari fermi al palo da un decennio, lo scarto crescente tra ricchi e poveri, la delocalizzazione, il lavoro sottopagato, il salario orario minimo, le energie alternative e la green economy e da ultimo il nucleare. Tutti temi e cavalli di battaglia della Linke che però non hanno portato il consenso sperato in un quadro politico in cui l’SPD perde consensi, i liberali rischiano di volatilizzarsi e i Grünen sono i veri vincitori.
Non sarà facile per Die Linke riprendersi se non saprà darsi un programma chiaro e condiviso, superando le lotte intestine, e se non avrà la capacità di aprirsi alla società e alla modernità, che non significa per forza essere subalterno al pensiero politico ed economico dominante.
Berlino, Die Linke in crisi. Non basta chiamarsi Sinistra per vincere le elezioni
La crisi della Die Linke, palpabile da mesi, è esplosa dopo la sconfitta alle elezioni in Baden-Württemberg e in Rheinland-Pfalz. Il partito rimane forte all'est, ma non sfonda all'ovest
19 aprile 2011 • 00:00