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“Sarà una giornata d’azione e di solidarietà, perché secondo le diverse condizioni i sindacati d’Europa decideranno caso per caso la forma di mobilitazione più adeguata”. Bernadette Ségol, segretaria generale della Ces (la confederazione europea dei sindacati), descrive con queste parole la Giornata europea di protesta che si svolgerà in quasi tutti i paesi dell’Unione il prossimo 14 novembre.
“Manifestazioni e scioperi in alcuni paesi – prosegue Ségol –, azioni di solidarietà in altri dove non vi è stato il tempo d’organizzare azioni più visibili. Non va dimenticato, del resto, che questa mobilitazione generale è stata decisa in tempi molto rapidi, soltanto nella seconda metà di ottobre. Solidarietà è poi anche la strada per uscire dalla crisi. Parlo in questo caso di solidarietà economica. Dobbiamo insistere su questo aspetto: c’è un interesse generale a uscire dalla crisi, anche da parte di quei paesi che sono per il momento meno in difficoltà”.
Rassegna Questo significa che la crisi ha cambiato, o sta cambiando, anche il modus operandi dei sindacati?
Ségol Penso che i sindacati stiano diventando sempre più consapevoli dell’importanza del modello sociale europeo. Quando dico modello sociale europeo intendo servizi pubblici, protezione sociale, negoziazione collettiva, relazioni sociali e industriali. Ora mi sembra evidente che le politiche messe in atto in questo momento con il pretesto di combattere la crisi attaccano e indeboliscono questo modello. I sindacati in Europa, e la Confederazione europea in quanto tale, sono consapevoli che questa è al momento la vera posta in gioco.
Rassegna L’Europa ha davvero toccato il fondo? O il peggio deve ancora arrivare?
Ségol Sinceramente non lo so. Se penso a come gli economisti si sono sbagliati, prima e durante la crisi, dubito che le previsioni più ottimistiche si realizzeranno davvero. Su una cosa comunque dobbiamo essere chiari: per noi uscire dalla crisi è uscire dalla disoccupazione. Questo per noi è e sarà il primo vero segnale di una fuoriuscita dalle sabbie mobili della recessione, non gli indicatori economici e finanziari privi di un impatto concreto sulla realtà e sulla vita dei lavoratori. Da questo punto di vista, purtroppo, le cifre non sono affatto rassicuranti, visto che la disoccupazione è in aumento. L’altro indicatore importante è il rispetto delle diverse esperienze di contrattazione collettiva, e anche su questo versante i dati non possono non preoccuparci.
Rassegna Il Consiglio europeo ha adottato nel mese di giugno il Patto per la crescita e l’occupazione. Che giudizio ne dà la Ces?
Ségol Il patto è fatto di bric et de broc, ossia di elementi diversi messi lì un po’ alla rinfusa. In concreto: un aumento dei capitali e degli investimenti della Banca europea, per permettere maggiori prestiti a sostegno della crescita, e un migliore utilizzo dei fondi strutturali. Per ora nessuna delle due misure è stata davvero messa in opera. Era d’altra parte chiaro fin dall’inizio che sarebbero stati necessari sei mesi di preparazione e che quindi questo patto non sarebbe stato operativo prima del gennaio 2013. Aspettiamo allora di vedere i primi risultati. Anche se siamo molto scettici circa le sue effettive capacità di operare in favore della crescita, aspettiamo di vedere se i fondi strutturali e la Banca europea per gli investimenti saranno davvero capaci di orientare risorse economiche laddove necessario.
Rassegna E il contratto sociale proposto dalla Ces? Quali sono i suoi fondamenti?
Ségol Il contratto sociale, che all’unanimità è stato approvato dalla Confederazione europea dei sindacati, vuole in primo luogo mettere in rilievo che le soluzioni adottate fin qui non hanno funzionato e che bisogna battere altre strade: il dialogo sociale e le negoziazioni collettive, un altro tipo di governance economica, la giustizia sociale, a partire da una fiscalità più giusta. Per noi è anche un modo per rimettere la questione sociale al centro del dibattito europeo, questione che allo stato attuale è totalmente ignorata. Dobbiamo essere chiari: non ci sarà Europa senza Europa sociale, ossia senza benefici per le persone e per i lavoratori.
Rassegna Nell’Unione, invece, sembrano prevalere le politiche di austerità...
Ségol L’austerità ha fallito, questo è chiaro. Basta guardare a cosa sta succedendo in Portogallo, in Spagna e in Grecia: in tutti questi paesi nessuna previsione di uscita dalla crisi basata su misure d’austerità si è davvero realizzata. Un fallimento totale. Noi diciamo che bisogna cambiare le carte. Smetterla di tagliare i salari, smetterla di tagliare la protezione sociale e di attaccare la contrattazione collettiva. Bisogna trovare soluzioni attraverso la fiscalità e attraverso gli investimenti per rilanciare l’economia. Questo è il nostro messaggio.
Rassegna Chi ci guadagna con l’austerità?
Ségol C’è a livello europeo un’ideologia dominante neoliberista, secondo la quale per stare meglio dobbiamo rendere più flessibile il lavoro, liberalizzare i servizi pubblici e indebolire la protezione sociale. Le misure adottate per uscire dalla crisi s’ispirano chiaramente a quest’ideologia, e questo è certamente molto grave.
Rassegna Possiamo affermare che solidarietà è ancora in Europa una parola di senso comune?
Ségol Certo. Per noi sindacati, almeno, è così. Noi pensiamo che anche nei paesi in questo momento più forti debba prevalere nei confronti degli altri maggiormente in difficoltà questo spirito. Il discorso si fa più complesso al livello politico. Alcuni capi di governo si rendono conto che siamo tutti sulla stessa barca e che occorrono misure di solidarietà, ma la maggioranza tende a far prevalere i propri interessi particolari. Per fortuna, a livello sindacale, anche nei paesi più forti, la parola solidarietà ha un significato molto importante.
Rassegna Disoccupazione, precarietà, smantellamento dello Stato sociale: la situazione dei giovani del vecchio continente è divenuta insopportabile.
Ségol Credo che dobbiamo continuare a essere ottimisti, perché il pessimismo ci porterebbe a non più agire, a non fare e a non dire. Fare e dire sono forme di ottimismo, mentre il pessimismo è abbassare la guardia. Abbiamo fatto molta strada lungo il cammino dell’integrazione europea. Spero per questo che un progetto così ambizioso non venga abbandonato a causa di una crisi, che – vale la pena ricordarlo – non è stata provocata dai lavoratori, ma dal settore finanziario. Il nostro è quindi un ottimismo dell’azione, della volontà. Anche se i segnali che riceviamo in questo momento sono decisamente negativi, è nostra ferma intenzione continuare lungo questo percorso.
Rassegna Cosa chiede la Ces alle istituzioni europee?
Ségol Al governo europeo direi che è ora che dimostri la volontà di occuparsi dei cittadini e dei lavoratori. Che metta in atto garanzie per i giovani, o che permetta perlomeno che siano i governi nazionali a farlo, senza che queste siano contabilizzate come debito pubblico. Questo è il messaggio che inviamo, in vista della giornata del 14 novembre, alle istituzioni europee. Altrimenti anche coloro che ancora sostengono l’Europa smetteranno di farlo, di fronte a un’Unione che non si occupa di loro, che non li difende, che non li protegge.
Rassegna E alle parti sociali?
Ségol Alle parti sociali dico che è nell’interesse di tutti trovare delle soluzioni per uscire da questa situazione, ma devono essere delle soluzioni che rilancino l’economia reale. Bisogna quindi puntare sul dialogo sociale e sulla contrattazione collettiva, combattere il precariato e l’ingiustizia sociale e fiscale e smetterla di tagliare i salari, i servizi pubblici e la protezione sociale.