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Sono 4 milioni e 492 mila le persone che nel nostro Paese si trovano nella cosiddetta area del disagio occupazionale (vale a dire coloro che in modo involontario svolgono un lavoro temporaneo o a tempo parziale), con un incremento del 45,5% rispetto al 2007. È quanto emerge da una ricerca della Fondazione Di Vittorio (Il disagio nel mondo del lavoro, scarica il pdf), dalla cui lettura si apprende anche che il tasso del disagio è pari al 20% rispetto al totale degli occupati, il più alto degli ultimi 10 anni.
Qualche altro dato. Al Sud (23,9%) il fenomeno è maggiore rispetto al Nord (17,7%), mentre nell'occupazione femminile è più alto (26,9%) rispetto a quella maschile (15,2%). Per quanto riguarda l'analisi per classi di età, questa registra nella fascia 15-24 anni una percentuale di disagio del 60,7%, in aumento di ben 21 punti rispetto al 2007; segue la fascia 25-34 anni con un tasso del 32% (era il 19% nel 2007).
Dallo studio della Di Vittorio emerge inoltre che il tasso di disagio occupazionale è più alto tra i lavoratori stranieri (poco più di un lavoratore su tre), rispetto a quelli con cittadinanza italiana (18,4%). Mentre tra i lavoratori con basso titolo di studio (licenzia media) è pari al 22,8%, 5,3 punti di più rispetto a chi ha una formazione universitaria. L’analisi per settori di attività, infine, riconosce negli “altri servizi collettivi e personali” e in “alberghi e ristoranti” i comparti nei quali questa condizione è più frequente (39% degli occupati).
Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, “nel nostro Paese continua un processo di progressiva precarizzazione e dequalificazione dell’occupazione, che penalizza particolarmente le fasce di età più giovani. Contestualmente continua a peggiorare anche la qualità della nostra occupazione in termini di qualifica professionale, in controtendenza con quanto avviene nel resto d’Europa".
Gli fa eco la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti, secondo la quale “lo studio della Fondazione Di Vittorio dimostra come quella del governo su crescita e ripresa del Paese sia pura propaganda. Aumentano i lavoratori nell'area del disagio e si allarga la forbice delle disuguaglianze a causa di scelte politiche che hanno ridotto diritti e tutele, sostenuto la flessibilità del mercato del lavoro e favorito gli incentivi a pioggia alle imprese attraverso la decontribuzione”.
“Per queste ragioni – conclude la dirigente sindacale – non è più rinviabile un cambio di passo nelle scelte di politica economica e del mercato del lavoro. Le risorse devono essere indirizzate verso gli investimenti, così da poter valorizzare saperi, ricerca e innovazione”. Infine, conclude Scacchetti, “il lavoro buono, stabile e di qualità deve essere precondizione per lo sviluppo e non può essere considerato una condizione di privilegio che impedisce la competitività”.