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Per arrivare all'aeroporto di Napoli Capodichino da piazza Garibaldi bastano un bus e dieci minuti di viaggio. Eppure sembra di passare da una dimensione all'altra. Si parte dal traffico impazzito di pedoni e auto nella piazza spezzata in due dai lavori per la metropolitana. E di colpo ci si ritrova davanti a un edificio di vetro ipertecnologico, lucido e slanciato, con enormi schermi al plasma che trasmettono spot in alta definizione. Prima di arrivarci però, in uno spiazzo di lato, ci si imbatte nelle bandiere rosse della Cgil. E nel furgone che da febbraio sta portando in giro per l'Italia la campagna promossa dal sindacato per raccogliere le firme necessarie a presentare una legge di iniziativa popolare sugli appalti.
Intorno al camioncino ci sono diverse persone, molti indossano una bella felpa rossa con scritto “Filt” sul petto e “Aeroporto” sulle spalle. Attaccano bottone con tutti i passanti, coi viaggiatori in partenza, che si riconoscono per l'andatura trafelata e i trolley al seguito, e sopratutto coi lavoratori, a inizio o fine turno. Sembrano molto determinati, e in parecchi si fermano. Poi quasi tutti tirano fuori i documenti e firmano.
D'altro canto, quello degli appalti è un tema molto sentito all'interno di questo moderno aeroporto internazionale, il secondo del Sud Italia per numero di passeggeri e per grandezza. Lì dentro, tra diretti e indiretti, lavorano circa 2.500 persone. E circa ottocento sono dipendenti di ditte in appalto. Li vedi passare, vestiti di giallo, d'arancione o di verde, e spiccano nel via vai di viaggiatori. Settanta di loro, però, quelle divise non le indossano più. Proprio a causa di un cambio di appalto.
“Autogrill ha dismesso la ristorazione nell'aeroporto. E la Gesac, la società di gestione, non ha inserito nel nuovo appalto una clausola sociale che obbligasse l'azienda ad assumere tutti i dipendenti. Quindi, da ottobre, settanta lavoratori sono per strada, oggi alcuni sono anche senza ammortizzatori sociali”. A raccontarlo è Mimmo Lombardi, responsabile regionale del trasporto aereo della Campania per la Filt Cgil.
La situazione è in qualche modo paradossale, secondo Lombardi, perché sebbene il numero di passeggeri aumenti costantemente, “le subconcessioni che la Gesac ha inserito nella gara d'appalto per i punti di ristoro sono state date a tre società che hanno 'ripescato' solo 15 lavoratori dal bacino storico. Gli altri sono stati assunti tutti ex novo”. Le nuove società, così, hanno evitato di fare i conti con i diritti acquisiti da questi impiegati nel corso degli anni.
Tra coloro che hanno perso il posto c'è anche chi ha 37 anni di anzianità, come Antonio Rappresa, operaio a Capodichino dal 1977. “Siamo in mezzo a una strada – racconta –. Io a sessant'anni mi ritrovo ancora con le bandiere in mano per difendere i diritti miei e degli altri. Sono stato uno dei primi ad entrare, l'abbiamo costruita noi la Gesac. Ho pure perso 8 anni di contributi, e questo mese non ho avuto nemmeno la mobilità. Ho due figli, uno diplomato e uno all'università, e sto qui dalla mattina alla sera a protestare, come se stessi ancora lavorando. Siamo tornati indietro di trent'anni.”
Nella stessa situazione si trova Vincenzo Iengo, anche lui operaio, “assunto in Gesac nel 1989”. “Da allora – dice - ho fatto tre cambi di appalto. Nei primi due c'era la clausola sociale, nell'ultimo invece la Gesac, come committente, non l'ha inserita nella gara. Il 16 ottobre siamo stati licenziati, noi per loro ormai siamo fuori. Forse anche perché siamo vicini al sindacato”.
Ma quello di Vincenzo, Antonio e dei loro 68 colleghi non è un caso isolato a Capodichino. La Manutencoop, ad esempio, ha recentemente vinto l'appalto per le pulizie e, sebbene abbia assunto tutti e 63 i lavoratori della società precedente, non ha riconosciuto parte delle condizioni che avevano maturato dal 2007 ad oggi. “Già il contratto di categoria è quello che è – afferma Giovanni Brancaccio, dipendente della Manutencoop -, ma i vari passaggi da un appalto all'altro hanno peggiorato sia la nostra situazione salariale sia quella contrattuale. A febbraio non ci sono state non riconosciute molte delle indennità che avevamo conquistato. L'azienda non si può presentare su un appalto e dopo nemmeno un mese di attività dire: 'abbiamo fatto un ribasso che ci costa 20.000 euro'. I ribassi non possono ricadere sulle spalle dei lavoratori.” Gli fa eco Luigi Coscione, anche lui addetto alle pulizie: “Questo è il terzo appalto, ed è il più 'scamazzato'. I nostri diritti sono svaniti, ci hanno tolto i buoni pasto e in cambio delle indennità vogliono istituire la banca ore. Su stipendi di mille euro se ne perdono 140. Non se ne può più”.
Infine, a Capodichino, c'è anche la questione delle società di handling, il servizio di assistenza a terra. Nonostante nel contratto sia prevista una clausola sociale, con l'entrata in vigore del Jobs act verranno utilizzati i famigerati contratti a tutele crescenti. Con ogni probabilità, quindi, anche per questi lavoratori i diritti maturati nel tempo saranno solo un ricordo.
Insomma, sebbene l'aeroporto di Napoli stia crescendo in fretta, la situazione per i lavoratori in appalto peggiora di giorno in giorno. “E' un continuo rincorrersi sugli ammortizzatori sociali, ma a pagare è anche l'utenza, perché i servizi ne risentono – conclude Natale Colombo, segretario generale della Filt regionale -. Abbiamo pure organizzato il primo sciopero generale degli aeroporti campani, ma la sofferenza dell'intero settore dei trasporti parte da molto lontano. Sopratutto dai tagli lineari ai finanziamenti e da processi organizzativi poco coraggiosi da parte delle aziende. Da un lato aumenta la domanda, dall'altra i servizi peggiorano. E in tutto questo la regione langue. La giunta Caldoro ha creato un vero e proprio disastro in questo settore.”