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La crisi non è certo terminata, tutt’altro. Il 17,5 per cento degli anziani, soprattutto gli over 75, salta il pranzo o la cena a causa delle difficoltà economiche. A farne le spese sono soprattutto le donne: hanno subito una diminuzione del 20 per cento di pasti e consumi (in una quota rilevante vedove) contro il 15,5 degli uomini. Sono i dati drammatici che emergono dalla ricerca “Pensa a cosa mangi. Alimentazione e salute delle persone anziane” promossa dallo Spi Cgil, in collaborazione con Auser, e condotta dalla Fondazione Di Vittorio.
La ricerca viene presentata oggi (martedì 4 aprile) a Bra (Cuneo) all'Università di Scienze gastronomiche, durante un convegno nazionale che vede la partecipazione di grandi esperti di cibo e alimentazione. A introdurre i lavori è la segretaria nazionale Spi Cgil Mina Cilloni, segue il saluto del presidente nazionale Auser Enzo Costa. I risultati della ricerca sono illustrati da Beppe De Sario (Fondazione Di Vittorio). Alla tavola rotonda - condotta dal direttore del giornale LiberEtà Giorgio Nardinocchi - partecipano Matteo Guidi (amministratore Delegato Last Minute Market srl), Roberto Morgantini (vice presidente di Amici di Piazza Grande onlus) e Carlo Petrini (presidente Internazionale Slow Food). Le conclusioni sono affidate al segretario generale Spi Cgil Ivan Pedretti.
Nel corso della ricerca sono state intervistate 7.241 persone, con un’età media di 69-70 anni. I numeri ci dicono che la crisi ha pesato di più fra le persone meno istruite, tra chi ha le pensioni più basse e tra chi risiede al sud e nelle isole. Sono quindi principalmente i fattori oggettivi a limitare le scelte alimentari degli anziani. In particolare, il reddito da pensione disponibile incide notevolmente per i redditi più bassi rispetto al paniere degli alimenti. Non è un caso, quindi, che dalla ricerca risulti come i bassi redditi da pensione si associno sempre a una cattiva e scarsa alimentazione. Ma anche a una minore frequenza della diagnostica e a maggiori problemi di masticazione, poiché ci si rivolge meno a un medico e ancor meno a un dentista. La cattiva alimentazione ha quindi un riflesso evidente sulle condizioni di benessere e sulla salute. I redditi più alti, invece, mantengono una maggiore qualità e varietà della dieta e sono anche quelli più aperti a modalità di spesa innovative (come i mercati a “chilometro zero” o ai gruppi di acquisto).
Ma oltre alle difficoltà economiche, un elemento critico che influenza la buona alimentazione risiede nelle forme della convivenza e nell’accessibilità del territorio: le persone sole, e quelle via via più anziane, hanno minori opportunità relazionali e di stimolo per tenere alti gli standard alimentari, mostrando anche un raggio d’azione della spesa più ristretto.
Nel dettaglio, tre quarti degli intervistati consumano tre pasti regolari al giorno, pochi coloro che ne consumano quattro (8,9 per cento, di preferenza i tre pasti principali e una merenda pomeridiana), solamente il 3,9 per cento ne consuma cinque, mentre il 7,7 ne consuma meno di tre. Il 13,4 per cento degli anziani con reddito fra 500 e 800 euro consuma meno di tre pasti, e ancora di più sono le persone che li hanno diminuiti a causa della crisi (ben il 17,8 per cento consuma meno di tre pasti al giorno). Secondo la ricerca chi ha patito la crisi fa la spesa soprattutto nei discount (38,7 per cento contro il 20,9 di chi non ne ha subìto i contraccolpi), ritorna nei mercati rionali (31,7 contro 22,6), abbandona i supermercati (49,8 contro 82,8), ma ricorre in maniera analoga ai negozi di quartiere (22,3 per cento contro 25,4).
Nel complesso, gli anziani si mostrano disponibili a cambiare la propria dieta e anche ad attivarsi nella frequenza di corsi di formazione e occasioni informative. Quest’orientamento è più accentuato tra le donne, al centro-nord, tra le persone che convivono con il coniuge e anche tra le persone che hanno diminuito i pasti a causa della crisi (con l’eccezione, significativa, delle persone con i più bassi redditi da pensione).