A Gianni Toti, il direttore poetronico, piacevano proprio le fotografie che chiunque avrebbe giudicato completamente sbagliate. Per accontentarlo gli insegnai a mettere dietro l’obiettivo che si svitava, una pallina di carta biascicata che causava fotogrammi stranissimi che a lui piacevano tanto, e pure a me. Ricordo che poi sostituimmo la pallina con un campanellino minuscolo che Toti agitava prima dello scatto con l’apparecchio e − dilin dilon − «...per attirare l’attenzione del soggetto − diceva − e fargli assumere una migliore espressione…».

Se qualcuno dubitasse di quello che scrivo … digiti in Google “Gianni Toti”: gli verranno 151.000 (centocinquantunomila) risultati dove in nessuno si dice, e sembra una favola, che Gianni Toti, inventore della poesia elettronica, è stato tutto ma proprio tutto di tutto, nella sua lunga divertentissima vita, tranne che direttore del “settimanale della Cgil”.

Che quando usciva l’amico fraterno Gianni, poiché siamo stati davvero come fratelli, indossava un impermeabile simbolico e doveva portarne una copia ai dirigenti grossi e medi della Confederazione, da dove ritornava coperto di sputi, parlo sempre per simboli, perché tranne che a Di Vittorio, il nostro rotocalco non piaceva proprio per niente.

… Prima che redattore di «Lavoro» anche io come Gianni sono stato redattore de «L’Unità», quella di Genova, dalla quale venni espulso perché, non ancora esperto della stampa di sinistra, mi ero fatto accorgere che sapevo scrivere con fantasia. La fantasia era considerata un pericolo per l’unità dell’organizzazione . Se ci pensate capite subito che è giusto così.

Ma torniamo a «Lavoro», al volume curato da Rossella Rega, dove sono tornato a rivivere le riunioni di redazione con il responsabile della Confederazione per la stampa in generale, un vecchio commovente analfabeta, o quasi. Supplicato dai colleghi prendevo la parola perché piaceva tantissimo come parlavo.

Secondo la mia vecchia mania, citavo il poetronico per cose che non aveva mai scritto: «… non sono d’accordo con Gianni quando dice nell’ultimo numero che per l’operaio le ferie sono l’omiletica falsa liberazione di un io che resta reificato nel prodotto…». Toti ascoltava compiaciuto e annuiva più volte con la testa, anche aggiungendo qualche volta un inciso. Bella era la faccia del dirigente. Gianni Toti era già quello che oggi dicono le migliaia di siti che ne parlano e lodano. Aveva alcune idee mica male, una ad esempio sulla punteggiatura: credeva che nei testi ci volesse la virgola contando ogni cinque parole, e in tipografia quando leggeva i nomi nelle bozze, e zic! e zic! e zic!, li riempiva di virgole. Però il compositore amico mio, facilmente corrotto con alcune fotografie pornografiche, non ne teneva conto e senza rischio perché il direttore mica controllava.

«Lavoro» morì come tutta la stampa illustrata di sinistra di quel tempo è morta perché non andava dove la stampa vive se vende e vende se vive: nelle edicole. Anche per questo inventava un “lavoratore”, o peggio ancora “l’operaio”, che non esisteva e non era un essere umano. Quello vero e che io ho ben fotografato, si alzava la mattina troppo presto, faceva una magra colazione, prendeva un pentolino dalla moglie con dentro roba fredda per il pranzo − faccio l’esempio FIAT, quello classico − raggiungeva la fabbrica e lavorava sodo quattro ore. Quando suonava di brutto una sirena lui raggiungeva una sala mensa sterminata e rumorosa, ma non mangiava la roba dell’azienda, metteva il suo pietoso pentolino sopra lastre di ferro arroventate, poi ingoiava la roba intiepidita e beveva un sorso di povero vino preso in tasca. Poi ritornava al banco a lavorare e dopo troppe ore ecco che usciva e raggiungeva faticosamente casa, dove stanco morto cenava…

Ora secondo la stampa illustrata di sinistra quel disgraziato, prima di andare a letto, avrebbe dovuto leggere un giornale che gli parlava della sua vita? Ma se leggeva qualcosa semmai era «La Gazzetta dello Sport» e Dio remuneri con la Gazzetta rosa tutta la stampa sportiva che è la sola che ha fatto allora, e spero continui a fare, qualcosa di utile per i lavoratori.