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“L’emendamento sui voucher rappresenta un deciso arretramento nelle politiche per il lavoro, un passo indietro rispetto a diritti e dignità dei lavoratori”. Maria Grazia Gabrielli, segretaria generale della Filcams Cgil, non usa mezzi termini – in questa intervista pubblicata su Diario Terziario, l’inserto sul mondo del turismo, del commercio e dei servizi – nel giudicare l’intervento sui buoni lavoro inserito nel cosiddetto decreto dignità.
I nuovi voucher rischiano di essere dannosi quanto quelli vecchi?
Nel turismo sono quantomai inutili e soprattutto dannosi, dato che i contratti di lavoro prevedono già diverse forme di flessibilità che si conciliano con la stagionalità del settore e le esigenze delle aziende non stagionali. Le parti firmatarie dei contratti hanno ben presente le caratteristiche del settore e hanno normato forme chiare e diversificate di lavoro a tempo. Temiamo che con questo nuovo intervento sul voucher riprenda forza l’idea di considerare il lavoro come tutto potenzialmente occasionale, anche se programmabile. Non vogliamo tornare agli oltre 145 milioni di voucher venduti per coprire qualsivoglia impiego o mansione.
Il cosiddetto decreto dignità pone il limite all’utilizzo dei buoni-lavoro per le aziende fino a otto dipendenti. Un accorgimento utile a contrastarne l’abuso?
Portare quel limite dimensionale per i voucher significa fornire uno strumento che può essere utilizzato da una parte rilevante del settore. Con i vecchi voucher abbiamo assistito a un uso smodato e, quando abbiamo proposto di abolirli con il referendum, in molti hanno gridato al tracollo del settore. Quando è cambiata la norma, però, è successo che sono cresciute le forme contrattuali rispondenti al lavoro subordinato, segno che quel lavoro poteva e può essere contrattualizzato: non c’è nessun impedimento ad assumere quei lavoratori con le forme che rispondono alle reali esigenze di flessibilità. Inoltre, anche il maldestro tentativo di considerarli come un deterrente per ridurre il lavoro nero è stato disatteso poiché, nel nostro Paese, una parte della ricchezza continua a essere sottratta dal lavoro nero, grigio, irregolare che ha necessità di altri strumenti per essere contrastato.
L’intervento sui voucher è un dramma per l’intero comparto, quindi...
Il turismo ha bisogno di visioni più alte che non il banale dibattito cui assistiamo sui buoni lavoro. Ha bisogno di politiche e piani di sviluppo, investimenti, mezzi di trasporto, strade, strutture ricettive a impatto ambientale zero, formazione professionale, assunzioni stabili, sostegno al reddito nei periodi di calo della domanda. Queste sono le vere esigenze a cui bisognerebbe fornire risposte per far crescere un settore importante per l’economia del Paese e per l’occupazione. Si continua invece a guardare nella direzione sbagliata agendo solo sulla leva del costo del lavoro. Introdurre questa ulteriore norma significa mettere le aziende nelle condizioni di evitare assunzioni stabili (e quindi più onerose), giustificare il lavoro nero attraverso la possibilità di comunicare inizio e fine prestazione nell’arco di dieci giorni, introdurre nei fatti un dumping tra imprese e tra lavoratori. Questo sì, lo consideriamo un dramma per il comparto su cui anche le associazioni datoriali, firmatarie dei contratti nazionali, dovrebbero rivedere le posizioni assunte in queste settimane.
Il decreto dignità cerca di porre un freno anche all’utilizzo dei tempi determinati, una scelta che ha già scatenato le ire degli industriali e di svariate associazioni di categoria. Almeno in questo, si è sulla giusta strada?
Il governo, diviso su molte questioni, ha dovuto partorire un decreto in bilico, che non scontentasse nessuno, con il risultato invece di aver scontentato un po’ tutti. Avessero voluto davvero superare il ricorso troppo spesso sistematico alle assunzioni a tempo determinato da parte delle imprese, avrebbero introdotto l’obbligo della causale fin dall’inizio, dalla prima assunzione. Avremmo voluto un intervento più incisivo, in coerenza con la nostra posizione secondo cui era sbagliata la precedente riforma sul contratto a termine voluta dal ministro Poletti. A questo aspetto leghiamo anche il correttivo sui licenziamenti illegittimi che vede solo un aumento dell’indennizzo economico, ma non ha provato a riattivare il dibattito sulla necessità di reintrodurre l’articolo 18. Possiamo quindi parlare di segnali di inversione di tendenza, ma troppo timidi e con troppe contraddizioni. Abbiamo bisogno di riportare al centro del dibattito e delle scelte il lavoro e per farlo c’è bisogno di un disegno organico come quello che abbiamo tracciato nella Carta dei diritti universali, il nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori. Su questa sfida si dovrebbe misurare la reale volontà di cambiamento per riconsegnare dignità al lavoro.
Di qui le ragioni della mobilitazione ha coinvolto non solo le categorie interessate, ma tutta la Cgil.
Tra il 2016 e 2017 abbiamo raccolto più di un milione e mezzo di firme per abolire quella che stava assumendo i contorni di una “nuova frontiera della precarietà” e nonostante questo i voucher sono stati prima aboliti, poi reintrodotti per aziende e famiglie; pertanto, anche se nessuno lo dice, sono ancora presenti nel nostro ordinamento. Allora, quando ci impedirono di votare per il referendum proposto dalla Cgil, parlammo di schiaffo alla democrazia, uno schiaffo che oggi rischia di venir dato a uno dei più importanti e strategici settori della nostra economia e ai due milioni di lavoratori del turismo che operano con professionalità e dedizione ogni giorno.