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Crescita a zero, occupazione ancora in calo (- 63.000 unità, soprattutto donne) e disoccupazione giovanile in aumento. Sono dati, questi, che sembrano senza ombra di dubbio contraddire le ipotesi sulla ripresa che circolano in molte dichiarazioni da parte del governo. “Basta guardare le cifre per scoprire che la variazione del Pil, della ricchezza nazionale, nel secondo trimestre 2016 è nulla e che a livello tendenziale rispetto all'anno precedente è in discesa”. Così Riccardo Sanna, responsabile economia della Cgil, nel suo intervento a RadioArticolo1 nel corso della trasmissione “Italia Parla”. Del resto, aggiunge il sindacalista, “sono le stesse previsioni che il governo inserisce in tutti i suoi documenti di economia e finanza che non vengono mai raggiunte”.
La situazione è dunque difficile, perché se l’obiettivo del governo era una crescita all’1,6 per cento, il dato sarà dimezzato, “si arriverà cioè probabilmente intorno allo 0,8 per cento di crescita e questo vorrà dire che si metterà mano ancora alla spesa. Ma questo – spiega Sanna – crea una spirale, perché ciò che ha prodotto questa crescita zero è proprio il taglio della spesa pubblica, insieme a quello degli investimenti pubblici. Gli investimenti privati da soli non ce la fanno, non ripartono, non decollano. E un altro segnale gravissimo di questa stagnazione è la deflazione: con 7 mesi di indice negativo tendenziale dei prezzi al consumo”.
Da questa situazione si può uscire in un solo modo, ha aggiunto, “e cioè affrontando davvero i nodi principali che abbattono crescita e occupazione nel nostro paese, tanto dal lato della domanda tanto da quello dell'offerta. Serve un ruolo pubblico dello Stato nell’economia che non viene mai menzionato e, anzi, viene scartato a priori, in Italia come in Europa. Questa dovrebbe essere la battaglia da fare nelle istituzioni”. Il mercato non basta, “serve evidentemente un innesto pubblico di innovazione, ricerca, infrastrutture, materiali e immateriali. Serve una politica industriale: il governo parla di Industria 4.0, ma le risorse a disposizione sono sempre esigue, mentre si ritiene necessario un ulteriore abbattimento delle tasse sulle imprese sostanzialmente generalizzato e quindi inefficace”.
In questo contesto, una politica di incentivi – per esempio il super ammortamento previsto dalla scorsa legge di stabilità del 140% per gli investimenti in macchinari e in beni fissi – non basta. “Il motivo è semplice – rimarca il dirigente Cgil – e 80 anni fa ce l'ha spiegato Keynes. C’è una crisi di domanda: se nessuno compra le cose che vengono prodotte, perché dovrei aumentarne la produzione? Negli ultimi 20 anni la nostra economia è stata trainata dalle esportazioni. Oggi non funziona più: la crisi è globale, e le grandi aree del pianeta si difendono. Dall’inizio della crisi sono nati ben 4.000 dazi nel silenzio delle istituzioni sovranazionali. Poi c'è lo sganciamento della moneta cinese dal dollaro e una tensione da svalutazione competitiva da parte di quell'area. C'è un economia americana che investe su se stessa e sulla propria industria. L’'Europa è al centro di questa crisi globale, con l'austerità che ha massacrato la domanda europea e nazionale”.
Il risultato è chiaro: “Senza nuovi redditi, nuovi lavori, nuova occupazione e nuovi consumi, le imprese non investiranno“. La realtà è però un’altra: ci sono quasi 9 milioni di lavoratori e lavoratrici italiani che aspettano il rinnovo contrattuale e nessuna politica all’orizzonte che punta ad agire, appunto, sul versante della domanda. “Da quel che apprendiamo – attacca Sanna – avremo un altro set di incentivi ricavati da ulteriore taglio della spesa, forse un po' di liberalizzazioni e magari qualche opera già messa in cantiere. Ma tutto ciò è ampiamente insufficiente. In Italia ed Europa serve una sorta di shock keynesiano, un’idea di investimento pubblico diffuso. Una strategia che la Cgil ha rilanciato col suo Piano del lavoro”.