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Attaccata da conservatori di vario colore, ostacolata dall’arretratezza del nostro sistema produttivo e dall’ideologia dei governi, messa alla berlina dalla stampa che racconta solo le esperienze dequalificate, l’alternanza scuola lavoro merita di essere sostenuta perché è uno strumento strategico per innovare la scuola e il sistema produttivo nella quarta rivoluzione industriale. Nonostante l’assedio a cui è sottoposto, l’obbligo all’alternanza scuola lavoro appare sempre più una delle poche scelte di politica scolastica orientate al futuro.
Alternanza, sapere nel lavoro e centralità dello studente
Fin dalle sue prime esperienze l’alternanza scuola lavoro è stata sostenuta dalla parte più innovativa del mondo della scuola, convinta che il sapere del lavoro fosse interessante per l’azione educativa. Questo sapere, insieme alla dignità e alla libertà della persona, ha sempre fatto la differenza tra un lavoratore e un mezzo di produzione: anche nella quarta rivoluzione industriale farà la differenza tra un lavoratore e un robot. La scelta di una metodologia didattica basata sull’interazione con il sapere nel lavoro afferma che la scuola non è autosufficiente nell’educare i giovani a diventare lavoratori e cittadini competenti e liberi. Con l’introduzione dell’obbligo all’alternanza scuola lavoro, inoltre, diventa evidente che nella Repubblica fondata sul lavoro la cultura del lavoro è parte essenziale del bagaglio di conoscenze e competenze da assicurare a ogni cittadino. Con l'arrivo dell'obbligatorietà, l’alternanza acquisisce carattere curricolare e diventa inevitabile superare la centralità delle discipline a favore della centralità dello studente.
Per questo l’obbligo all’alternanza scuola lavoro è uno strumento per garantire a ogni studente la possibilità di apprendere competenze che si acquistano meglio o si apprendono solo attraverso l’interazione tra la scuola e i contesti lavorativi. Si tratta di capacità necessarie per essere lavoratori occupabili e cittadini consapevoli: per esempio affrontare efficacemente l’ingresso, la permanenza nel mercato del lavoro e le transizioni ormai inevitabili tra diversi lavori; saper prendere decisioni autonome, risolvere problemi, lavorare in gruppo; saper apprendere lungo tutto il corso della vita intrecciando studio e lavoro.
Sono capacità che si acquisiscono con una didattica per competenze in cui gli studenti apprendono in modo attivo realizzando e rielaborando esperienze reali. Ciò è possibile se il mondo della scuola e il mondo del lavoro si aprono all’innovazione, altrimenti l’obbligo all’alternanza si riduce a un adempimento burocratico dannoso per tutti. Le scuole devono superare la separazione disciplinare, riconoscere che si apprende anche fuori dalla scuola, co-progettare i percorsi in alternanza integrando apprendimenti nella scuola e nel contesto lavorativo. I contesti lavorativi – strutture ospitanti secondo la terminologia ministeriale – devono sviluppare capacità formativa nei confronti delle diverse tipologie dei soggetti con cui condividono l’interesse all’apprendimento (lavoratori, apprendisti, studenti in alternanza, tirocinanti).
Le difficoltà dell’obbligo all’alternanza
È proprio per questa sua valenza fortemente innovativa che l’alternanza scuola lavoro obbligatoria continua a essere una riforma a rischio. Il Governo deve al più presto varare un piano operativo condiviso con le parti sociali, finalizzato a promuovere le condizioni per la qualità delle esperienze di alternanza. Occorre innanzitutto promuovere e incentivare la capacità formativa delle imprese. Nonostante l’instancabile narrazione ideologica che dipinge un mondo imprenditoriale pronto a mettere sotto assedio le scuole per piegarle alle proprie esigenze di addestramento della manodopera, la realtà è un’altra: la maggior parte delle imprese italiane è disinteressata a interagire con scuole e università, pochissime si sono iscritte al registro delle imprese dell’alternanza nonostante la gratuità. Non di rado, infatti, si assiste a paradossali elencazioni dei mali dell’alternanza in cui al “regalo di manodopera gratuita alle imprese” si somma il “tempo perso” dalle scuole per la difficoltà a trovare imprese disponibili a ospitare studenti. Una perdita di tempo, questo continua ad essere l’alternanza obbligatoria per la scuola dei programmi. Resiste in una parte consistente del mondo della scuola la convinzione che le istituzioni formative debbano essere protettivi mondi a parte, in cui l’interazione con i contesti reali è inutile, spesso dannosa e, se va bene, un utile ma non necessario arricchimento.
Allo stesso modo molte imprese considerano improduttivo realizzare percorsi di apprendimento co-progettati con le scuole e con le università e anche quando assumono apprendisti lo fanno soprattutto per risparmiare sul costo del lavoro: sono le stesse imprese che non formano i lavoratori e non investono nella qualità del lavoro e nell’innovazione. Due atteggiamenti entrambi inadeguati ad affrontare le sfide poste dalle profonde trasformazioni in corso, centrati sull’idea di proteggere invece di attivare. Sono perdenti le imprese che puntano sulla protezione per competere attraverso la svalutazione del lavoro (precarizzazione), della moneta (uscita dall’euro) e il ritorno alle chiusure nazionali e alle barriere doganali (sovranismo). E sono perdenti le strategie educative che non attivano i giovani “esponendoli” in esperienze reali nelle quali le conoscenze sono messe in atto affrontando situazioni-problema (didattica delle competenze).
Scuola e lavoro nella quarta rivoluzione industriale
Questi atteggiamenti devono essere superati perché un nuovo rapporto tra scuola, università e sistema produttivo è la chiave per orientare in senso inclusivo e sostenibile la profonde trasformazioni in corso. Il complesso di radicali innovazioni che investono il sistema economico (Industria 4.0), prodotte dall’effetto integrato di digitalizzazione e automazione, può avere effetti sociali più o meno dirompenti in relazione al contesto socio-culturale in cui si sviluppa. In particolare, le competenze presenti sono decisive per la traiettoria e gli esiti del processo di innovazione tecnologica: il livello e la tipologia delle competenze della popolazione attiva svolgono un ruolo essenziale nell’orientare il processo innovativo verso modelli ad alta o bassa intensità di lavoro, ad alta o bassa intensità di lavoro qualificato. In assenza di un governo politico del processo di innovazione tecnologica e produttiva e in assenza di una efficace strategia delle competenze si accentuano i rischi di una polarizzazione sociale costituita da una minoranza di lavoratori ad alta intensità di conoscenza e una maggioranza di occupazioni dequalificate, frammentate, ricattabili e sostituibili. Una polarizzazione tendente a superare le qualificazioni intermedie e, con esse, quel ceto medio che, insieme alla mobilità sociale, ha costituito il perno sociale delle democrazie occidentali.
Un strategia delle competenze adeguata ad evitare questi effetti dirompenti deve naturalmente puntare a innalzare i livelli di istruzione di tutti. Di qui la necessità di innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni per assicurare la base culturale sufficiente per continuare ad apprendere per tutta la vita. Nell’era dell’innovazione continua il diritto all’apprendimento permanente è il nuovo diritto all’istruzione. Non basta però una formazione generale centrata sulla trasmissione di contenuti teorici, ma priva delle competenze necessarie per interagire con il mondo del lavoro e con i processi di innovazione che lo investono: radicali, continui, veloci, pervasivi e capaci di sostituire non solo attività manuali e routinarie ma anche lavori e professioni di livello medio-alto. Un quadro che rende del tutto impossibile per la scuola e l’università prevedere all’inizio degli studi di un giovane quali saranno le professionalità e le competenze richieste dal mercato al momento in cui vi farà ingresso.
Appare quindi in tutta la sua evidenza l’impossibilità per la scuola e l’università di rincorrere l’incessante mutare delle tecnologie e delle professionalità. Ma non per questo scuola e università possono rassegnarsi a rinunciare a formare i giovani al lavoro, ostacolando e allungando le già lunghe e difficili transizioni tra scuola, università e lavoro. Solo l’interazione tra istituzioni formative e contesti lavorativi dotati di capacità formativa può coniugare l’esigenza di assicurare una formazione culturale di base solida con l’apprendimento di competenze curvate sulla occupabilità: esigenze del sistema produttivo in cui il giovane si appresta a entrare, tendenze a medio termine dei processi di innovazione, nuovi profili professionali previsti. Attraverso le esperienze di alternanza e apprendistato duale i giovani imparano a saper intrecciare studio e lavoro, un’abilità fondamentale per un giovane che dovrà vivere e lavorare nell’era di Industria 4.0 e nella società dell’innovazione continua. Inoltre l’interazione tra scuola, università e contesti lavorativi, attraverso la formazione sul campo e l’esperienza diretta, sviluppa competenze di tipo trasversale che, per la loro connessione con il saper essere delle persone, sono le meno sostituibili dalle macchine intelligenti.
L’azione sindacale per la buona alternanza
L’azione sindacale per la promozione della qualità dell’alternanza scuola lavoro è coerente con le politiche di sviluppo rivendicate dal sindacato. Le imprese formative sono le più aperte all’innovazione: promuovere la loro diffusione, anche attraverso i percorsi di interazione con le scuole e le università, è una parte essenziale della politica industriale rivendicata dalla Cgil per riposizionare il nostro sistema produttivo sulle filiere produttive caratterizzate da più alta intensità di conoscenza, qualità del lavoro e formazione dei lavoratori. L’investimento nella formazione delle competenze dei giovani studenti in alternanza e degli studenti-lavoratori in apprendistato tipologia 1 e 3 contrasta le spinte alla precarizzazione del lavoro, perché sviluppa tendenze alla fidelizzazione delle relazioni lavorative. Al contrario l’insicurezza del rapporto di lavoro precario disincentiva l’investimento in formazione da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore.
Inoltre, l’impegno sindacale per la buona alternanza è coerente con lo sviluppo di una strategia contrattuale sempre più fondata sulla valorizzazione delle competenze dei lavoratori. La valorizzazione dell’alternanza scuola lavoro è infatti un obiettivo del documento unitario per il nuovo modello contrattuale. Dopo l’introduzione dell’obbligo all’alternanza, il protagonismo delle parti sociali e l’azione sindacale sono essenziali per sviluppare le condizioni della qualità delle esperienze di alternanza e per controllare e contrastare i rischi di dequalificazione e sfruttamento. Il monitoraggio sulla prima attuazione e l’iniziativa “Fai l’alternanza giusta” (Guida per genitori e studenti e numero verde) realizzate dalla Cgil insieme alla Rete degli Studenti, Flc Cgil e Fondazione Di Vittorio hanno rappresentato una prima risposta che deve essere proseguita e sviluppata insieme all’iniziativa politica finalizzata a promuovere la partecipazione attiva delle parti sociali e a ottenere sedi stabili di coordinamento (cabina di regia con istituzioni e parti sociali) e di governance. Occorre ora sviluppare una nuova capacità di azione sindacale utilizzando tutte le opportunità di dialogo sociale (accordi, tavoli stabili, cabine di regia, osservatori, eccetera) e di contrattazione a livello nazionale e territoriale, generale e settoriale.
Sono possibili, a livello nazionale e territoriale, accordi (tavoli e cabine di regia) per promuovere l’alternanza scuola lavoro e per lo sviluppo della capacità formativa delle strutture ospitanti. Nel contesto italiano, dove prevalgono piccole imprese povere di conoscenza, occorre prevedere percorsi di graduale e progressivo avvicinamento all’obiettivo di accreditare la capacità formativa da parte di soggetti terzi, attivando anche facilitazioni e incentivi a sostegno delle imprese che migliorano la propria capacità formativa. In particolare occorre qualificare e diffondere la figura del tutor aziendale: definizione del profilo delle competenze professionali ed educative e delle procedure di certificazione, attivazione di un’offerta formativa adeguata per la formazione anche attraverso l’utilizzo dei fondi interprofessionali, valorizzazione contrattuale, retributiva e normativa. A livello territoriale sono possibili accordi per la ricognizione del fabbisogno di competenze in relazione ai piani di sviluppo: individuazione delle competenze e dei profili professionali alla cui formazione orientare le attività di alternanza scuola lavoro in relazione a piani di sviluppo locale o territoriale (piano del lavoro, patti per lo sviluppo, accordi di politica industriale, …).
A livello di categoria gli accordi per la buona alternanza possono prevedere forme di tutela e controllo da parte delle Rsu: diritti di informazione per verificare l’applicazione della Carta dei diritti degli studenti (in corso di approvazione); controllo della definizione delle competenze al cui apprendimento è finalizzato il percorso formativo in alternanza con il contesto lavorativo e verifica della loro coerenza con le effettive competenze e condizioni di apprendimento dello specifico luogo di lavoro; verifica dell’adeguatezza del rapporto numerico tra tutor e studenti assegnati; controllo della qualità dei percorsi di alternanza scuola lavoro realizzati in periodo estivo; controllo dell’applicazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro nei confronti degli studenti; tutela degli studenti in relazione a eventuali costi posti a loro carico per lo svolgimento dell’esperienza nel luogo di lavoro.
Infine, il sindacato può contribuire direttamente nella realizzazione dei percorsi di alternanza, come avviene già da parte di molte strutture Cgil con il supporto del coordinamento nazionale Lab Scuola Lavoro. Le organizzazioni sindacali, in qualità di rappresentanti del mondo del lavoro, si rendono disponibili a co-progettare con le scuole percorsi formativi mettendo a disposizione il proprio patrimonio culturale e di competenze professionali sul mondo del lavoro. Gli esiti di apprendimento previsti riguardano storia e diritto del lavoro, mercato del lavoro e orientamento al lavoro, storia e cultura del lavoro, salute e sicurezza del lavoro. Il sindacato naturalmente è portatore anche di un punto di vista, insito nella sua funzione di rappresentanza dei lavoratori, che permette ai giovani di cogliere la dialettica di interessi e di valori presente nel mondo del lavoro. Un contributo essenziale per lo sviluppo di una visione delle relazioni lavorative che non si limiti all'adattamento, ma coltivi l’educazione allo spirito critico e l’esercizio della cittadinanza attiva.
Fabrizio Dacrema è responsabile istruzione e formazione area welfare Cgil nazionale