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L’Italia non è un Paese per giovani, e non solo perché siamo ai primi posti dei confronti internazionali per numero di Neet e agli ultimi per investimenti in istruzione, formazione e politiche attive del lavoro. Siamo anche troppo spesso incapaci di “fare sistema” e di vincere le resistenze al cambiamento per realizzare concretamente possibili politiche migliorative. Un esempio attuale è fornito dall’introduzione dell’obbligo all’alternanza scuola-lavoro, appena avviato e già dato per morto.
Con la legge 107/2015 l’alternanza diventa un diritto esigibile per tutti gli studenti dell’ultimo triennio della scuola secondaria superiore: si passa da circa 230 mila ragazzi (il 9%) a 1,5 milioni. Un balzo in avanti enorme, cui non è corrisposta un’azione del governo all’altezza della sfida: mancanza di gradualità nella prima attuazione, assenza di coinvolgimento attivo delle parti sociali, insufficiente supporto formativo agli insegnanti impegnati in processi di progettazione e attuazione molto complessi.
Errori gravissimi che si sono aggiunti ai pesanti limiti del sistema produttivo italiano, povero di conoscenze e di capacità formativa, e alle resistenze di parte del mondo della scuola, rimasto ancorato a modelli educativi trasmissivi, chiusi e autosufficienti. Così a poco più di due anni dal suo avvio, già si parla di fallimento dell’alternanza, si chiedono sospensive, abrogazioni totali e cancellazioni dell’obbligo.
Tutte proposte da contrastare, perché, nonostante le difficoltà, l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria rappresenta un’opportunità da non perdere per chi non vuole limitarsi alla retorica dei “giovani senza futuro”. Innanzi tutto, non è vero che tutto va male. Nonostante gli errori attuativi del governo, la maggior parte delle scuole sta realizzando buone esperienze o comunque è sulla strada giusta, come risulta anche dalle indagini realizzate dalla Fondazione Di Vittorio in collaborazione con Cgil e Flc.
Non a caso, cominciano a prendere la parola anche gli operatori della scuola e del mondo dell’educazione direttamente impegnati a realizzare esperienze di qualità. In un manifesto intitolato “Per un’alternanza di qualità” (http://www.progressi.org/alternanza), firmato tra gli altri anche da Luigi Berlinguer, chiedono alle forze politiche e al prossimo Parlamento di non tornare indietro: servono miglioramenti, ma l’alternanza deve restare obbligatoria.
Non è una novità. La Cgil e Flc, già in un documento presentato nel febbraio 2015 nel corso dell’iniziativa “Scuola Lavoro: le chiavi del futuro”, avevano proposto la generalizzazione dell’alternanza scuola-lavoro per tutti gli studenti. Questo perché l’alternanza scuola-lavoro è una pratica didattica che permette allo studente di apprendere competenze coerenti con il profilo educativo del corso di studi prescelto, utili per l’esercizio della cittadinanza attiva e al momento dell’inserimento nel mercato del lavoro.
Si tratta di competenze tecnico-professionali o di competenze trasversali/soft skills, quali la capacità di apprendimento permanente, di prendere decisioni, di comunicare, di lavorare in gruppo: vere e proprie chiavi per l’esercizio della cittadinanza attiva e per fronteggiare i rapidi e continui mutamenti del lavoro. L’alternanza, sulla base della norme che la regolano, non è una forma di ingresso nel mercato del lavoro, diversamente dall’apprendistato non è un contratto di lavoro, ma una metodologia didattica. Non deve perseguire competenze subalterne alla domanda a breve del sistema produttivo, né tantomeno addestrare a mansioni esecutive o routinarie.
Al contrario, le esperienze di alternanza offrono agli studenti l’opportunità di mettere alla prova il sapere scolastico per risolvere problemi in contesti reali, arricchendolo così di “saper fare” e “saper essere”. L’alternanza si muove, dunque, lungo l’asse di rapporti scuola-lavoro orientati a sviluppare competenze per il lavoro spendibili nel medio-lungo periodo, un bagaglio di saperi resistenti, soprattutto di tipo trasversale, e difficilmente sostituibili, perché intrinsecamente connessi al “saper essere” delle persone. In questa prospettiva, il nuovo rapporto scuola-lavoro che si delinea in relazione ai radicali e dirompenti processi innovativi in corso (Industria 4.0), destinati a rendere ancora meno prevedibili le professionalità richieste al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro, contribuisce ad accrescere il valore strategico dell’alternanza: offre l’opportunità ai giovani di imparare a intrecciare studio e lavoro lungo tutto il corso della vita e permette al sistema di istruzione di cogliere le tendenze dell’innovazione continua, i saperi che da essa scaturiscono e quelli prevedibilmente utili per la formazione dei giovani quando entreranno nel mercato del lavoro.
Il modello di interazione scuola lavoro adottato dalla normativa vigente sull’alternanza è di tipo scuola-centrico: sono le scuole ad avere la responsabilità ultima del percorso in tutte le sue fasi: co-progettazione, attuazione, valutazione. Le troppe esperienze dequalificate giustamente denunciate dagli studenti non derivano, quindi, dalla normativa, ma dagli errori attuativi del governo e dall’impreparazione delle scuole e del sistema produttivo.
Questi sono i punti su cui agire per migliorare. Occorre recuperare una maggiore gradualità e flessibilità attuativa, ascoltare le proposte di chi è impegnato a realizzare buone esperienze, sostenere le scuole con un piano di formazione fondato sul supporto alla progettazione e alla didattica per competenze, avviare una revisione dell’organizzazione complessiva del lavoro nella scuola, chiarire che il monte ore obbligatorio non coincide con la permanenza degli studenti in azienda. Quest’ultimo punto è decisivo per evitare che le scuole in difficoltà “scarichino” gli studenti in contesti lavorativi dequalificati pur di assolvere all’adempimento del monte ore obbligatorio.
Il tempo per l’alternanza è invece composto da un insieme articolato di attività: preparazione e rielaborazione delle esperienze di stage, formazione per salute e sicurezza, incontri con esperti, visite guidate, ricerche sul campo, project work su compiti di realtà, fino ad arrivare all’impresa simulata e al lavoro su commissione. Sul versante del sistema produttivo è prioritario superare l’ideologia della disintermediazione, che ha impedito in tutta la prima attuazione di coinvolgere attivamente le parti sociali, nonostante le raccomandazioni europee derivanti dal ruolo determinante giocato dai soggetti di rappresentanza del mondo del lavoro in tutte le esperienze di successo riguardanti il rapporto scuola-lavoro.
Come richiesto già dal 2015 da Cgil, Cisl e Uil, devono essere attivate sedi stabili, nazionali e territoriali, per la programmazione, il monitoraggio e la promozione della capacità formativa delle strutture ospitanti, a partire dalla valorizzazione in questo senso dell’Osservatorio recentemente annunciato dalla ministra negli Stati generali dell’alternanza. Non solo. Occorre modificare le norme dell’ultima legge di bilancio che prevedono misure di decontribuzione per l’assunzione dei giovani con esperienze di alternanza in azienda, al pari dell’apprendistato, una misura che non incentiva le imprese a fare buona alternanza, ma a confonderla con gli strumenti di politica attiva del lavoro
Le risorse disponibili devono invece essere utilizzate per sostenere e incentivare le imprese che si impegnano a formare i tutor aziendali e in percorsi di miglioramento certificato della loro capacità formativa. Queste le principali proposte della Cgil per far diventare l’obbligo alternanza scuola-lavoro uno strumento effettivo per innovare la scuola e per contribuire a promuovere un nuovo sviluppo basato sulle competenze e la qualità del lavoro.
Fabrizio Dacrema è responsabile istruzione e formazione Cgil nazionale