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Alessio Gramolati, già segretario generale della Cgil Toscana, è stato da poco nominato coordinatore nazionale delle politiche industriali per la confederazione. E in questa nuova veste è stato ospite stamattina di Italia Parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale)
“Iniziamo dal fatto che sono vent’anni che in Italia non si fanno più politiche industriali – ha esordito il dirigente sindacale –, e la prima cosa che il Governo dovrebbe fare è recuperare il tempo perduto. Dal nostro punto d’osservazione, siamo partiti dalla crisi, andando a vedere cos’è successo negli ultimi sette anni. L’immagine che ne abbiamo ricavato è una realtà in profonda trasformazione, in cui cercheremo d’intervenire con proposte specifiche, aggiornando, anno dopo anno, lo stato dell’arte di quanto accade. Dentro la Cgil ci sono le competenze per fare un lavoro del genere, e nessuno meglio di noi conosce la realtà industriale. Però, dobbiamo riuscire a fare rete e a superare quella parcellizzazione esistente che rischia di farci perdere parecchie informazioni preziose sul piano della contrattazione e della difesa dell’occupazione”.
“In veste di responsabile – ha rilevato l’esponente Cgil –, mi è stato affidato il compito di costituire un comitato scientifico di valutazione industriale: si tratta di uno strumento inedito non solo per la Cgil, ma per l’intero Paese. Dobbiamo creare un osservatorio sull’azienda innovativa, perché c’è una parte d’industria nazionale che sta vincendo sfide competitive in territori e latitudini assolutamente impensabili. Ciò è legato alle capacità imprenditoriali, ma in larga parte è soprattutto dovuto alla bravura delle nostre maestranze: osservare da vicino quel mondo significa preparare la piattaforma del futuro, avendo grosse probabilità che quegli obiettivi si ottengono con un lavoro di qualità, agendo sul terreno dell’innovazione, della responsabilità e dell’autonomia, e non sul valore della gerarchia e del comando, come ha fatto il Governo con il Jobs Act. Quindi, prima operazione da fare, indagare sul nuovo che esiste e che funziona, mentre la seconda è proprio il comitato scientifico, che avrà la mission di valutare e selezionare le proposte di acquisizioni di aziende, a seguito di ristrutturazioni, fallimenti e passaggi di proprietà: in un Paese normale spetterebbe al Governo, ma siccome in Italia manca un’autorità del genere, ci siamo decisi a metterla a punto noi”.
“Costituiremo un comitato autorevole – ha specificato Gramolati –, formato da personalità indipendenti ed esperte, in grado di elaborare uno screening sui piani di ristrutturazioni presentati, valutando anche il carattere finanziario e industriale dei proponenti, e segnalando sul ‘quaderno dei cattivi’ coloro che si presentano solo per acquisire le risorse disponibili senza avere alcuna intenzione d’investire: sostanzialmente degli imbroglioni, che vogliono arricchirsi sulle disgrazie altrui, com’è già accaduto in molti casi di crisi aziendali, vedi Electrolux in Toscana, Videocon di Frosinone e tanti altri. Il comitato scientifico servirà giusto a prevenire tutto ciò, attraverso apposite black list, mentre i comportamenti virtuosi saranno oggetto di white list dedicate. È un’esperienza inedita, per noi, ma penso che saremo in grado di fare una cosa importante, riprendendo iniziative fatte da alcune singole categorie, come Filctem e Fiom, che però non hanno mai messo in piedi un progetto organico, sul modello di quanto già svolgono altri sindacati europei”.
“Grazie all’osservatorio sull’innovazione – ha osservato ancora il sindacalista –, metteremo sotto la lente d’ingrandimento le singole aziende, la loro capacità ad investire, la cui storica scarsa propensione è stata alla base dell’arretratezza del nostro capitalismo dai tempi di Cuccia, che come un alchimista e in modo assolutamente discrezionale, decideva assetti industriali e proprietari del nostro apparato economico e produttivo. Successivamente, siamo passati al capitalismo di relazione, che ha visto vicende come quelle di Telecom o Aeroporti di Roma, dove il manager trovava il rapporto con la banca e poi acquisiva l’azienda, finendo per caricare su di essa il debito che aveva contratto per comprarla: in pratica, una sorta di corto circuito, diventata l’anomalia del nostro Paese. Oggi l’Unione europea ha posto l’obiettivo di passare dal 16 al 20% del rapporto tra Pil e capacità produttiva, ma si sta discutendo anche del grado d’innovazione industriale da raggiungere, sapendo che, per il momento, siamo ben lontani dal 4.0 della Germania, non avendo un terziario avanzato, una logistica e un sistema di servizi all’altezza”.