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Il 16 febbraio le lavoratrici e i lavoratori ex Alcoa erano in piazza a Roma. Per tenere calda la vertenza sono tornati in 200, sfilando in corteo lungo le strade della capitale e poi con un presidio davanti a Montecitorio. Anche questa volta hanno chiesto al governo di sciogliere i nodi che stanno portando fuori rotta la vertenza dello stabilimento di Portovesme. Serve la garanzia sulle tariffe dell’energia e costi più favorevoli alla produzione per mantenere le prospettive di ripresa della fabbrica di alluminio nel Sulcis. Dopo la decisione di Alcoa di abbandonare il sito produttivo sardo, i lavoratori, che presidiano i cancelli da oltre due anni, attendono le garanzie per l’ingresso di un nuovo proprietario.
La risposta dei rappresentanti dell’esecutivo è da qualche tempo più o meno sempre la stessa: “Stiamo lavorando a un accordo – lo ha ribadito di recente anche il sottosegretario alla presidenza Claudio De Vincenti – con un gestore di energia per un’intesa di lungo termine che preveda i primi due anni di superinterrompibilità e i successivi di interrompibilità, in modo da avvicinare il prezzo dell’energia a quello previsto nel memorandum of undestanding firmato negli anni scorsi con Glencore”.
Il gruppo svizzero ha manifestato il proprio interesse a rilevare lo stabilimento di Portovesme, ma ancora non si è concretizzato nulla. I rappresentanti dei lavoratori temono che le nuove tariffe prospettate dal governo potrebbero non bastare alla Glencore. Il problema è che con l’uscita di questi ultimi dalla scena, il negoziato potrebbe rivelarsi al capolinea. Se ne saprà di più il 7 marzo, quando il governo riferirà a una delegazione di Fim, Fiom e Uilm sugli esiti dell’incontro con il gruppo svizzero, che – saltato alla fine di febbraio – dovrebbe nel frattempo aver avuto luogo.
Al recente presidio davanti a Montecitorio per appoggiare la mobilitazione dei lavoratori ex Alcoa attualmente in cassa integrazione hanno partecipato anche i leader di Cgil, Cisl e Uil. “Tutto quanto sta succedendo è il frutto dell’assenza di una politica industriale – ha detto in quell’occasione Susanna Camusso –. Dal governo sono arrivati solo proclami, ma nessuna azione concreta per una ripresa industriale del Paese. Il caso dei lavoratori sardi è in questo senso emblematico”.
Intanto, dalle comunicazioni ricevute, si è appreso che il ministero dello Sviluppo economico avrebbe chiesto ad Alcoa di autorizzare l’accesso per la visita agli impianti anche alla Sideralloy, un’altra azienda di un gruppo svizzero che aveva presentato una manifestazione di interesse nello scorso mese di dicembre. Non è certamente la ciambella di salvataggio, ma potrebbe riaprire la corsa, visti anche gli sviluppi prospettati dal governo. Anche se non mancano i timori che tutto possa ritornare in alto mare.
Il rumore dei caschetti sul selciato della capitale ha risvegliato la vertenza. La situazione è giunta quasi al livello di guardia: i lavoratori dell’indotto sono ormai da tempo senza nessun paracadute sociale e la stessa sorte, se non si risolvesse la situazione, potrebbe ben presto toccare anche a quelli diretti. Molto chiaro al riguardo il ragionamento di Rosario Rappa, della segreteria nazionale Fiom: “Non ci sono piani alternativi, ma ora Glencore, con l’accordo di lungo termine sul costo dell’energia, non ha più alibi”. Ancora pochi giorni e l’esito della vertenza potrà essere chiarito. I lavoratori del Sulcis, appena tornati da Roma, stanno preparando di nuovo gli zaini per la prossima trasferta.