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Il prossimo lunedì 10 dicembre, alle ore 10.00, presso il Cimitero della Villetta, la Cgil di Parma, in collaborazione con Anppia e Ami (Associazione mazziniana) ricorderà Alceste De Ambris nell'84° anniversario della sua morte. De Ambris fu segretario della Camera del lavoro di Parma fra il 1907 e il 1908 e diresse lo sciopero delle bustaie e lo sciopero agrario, le lotte da cui prese le mosse l'identità collettiva del sindacato nella provincia. Alla commemorazione interverranno Massimo Bussandri, segretario generale della Cgil di Parma, Guido Guiducci, in rappresentanza di Ami Parma, e Roberto Spocci, presidente Anppia Parma.
Alceste De Ambris nasce a Licciana, in Val di Magra, nel 1874, compie gli studi al Liceo Pellegrino Rossi di Massa ove insegnava Giovanni Marrani; a metà degli anni novanta si trasferisce a Parma per iscriversi alla facoltà di legge, studente a Parma aderì, assieme a Luigi Campolonghi, ai moti per il rincaro della farina e del pane (1898) e nello stesso anno fu chiamato alle armi a La Spezia.
Negli stessi inizia l’attività giornalistica collaborando a “Il Piccolo Corriere” e, con Campolonghi, a “La Terra”
Emigra in Brasile per fuggire ad una condanna. Il primo esilio in Brasile è poco conosciuto agli europei, qui incontrò Teresina Carini, nativa di Fontanellato, il gruppo socialista d’Alcibiade Bertolotti e la Lega Democratica Italiana. In Brasile Alceste è ospite dei fratelli Angelo ed Alfredo, il primo commerciante di caffè ed il secondo redattore dell’Agenzia d’Informazione Havas, entrambi emigrati nel 1894.
Nel 1900 esce “L’Avanti” diretto da Bertolotti e De Ambris vi cura la rubrica “In Arte” e s’interessa di problemi sindacali tanto che è attaccato perché favorevole alla nascita di una Camera del lavoro paulista d’indirizzo rivoluzionario. Gli attacchi lo spingono a dimettersi e si concentra sulla pubblicazione de L’Almanacco socialista del 1902. Con l’affermazione della questione sindacale nel contesto paulista De Ambris assume la guida de “L’Avanti” esautorando il gruppo riformista, ma nel 1903, a seguito di una denuncia è costretto ad imbarcarsi, sotto falso nome, per tornare in Italia Rientrato in patria, dal 1903 al 1908, si dedica all’attività sindacale: dapprima come segretario della Camera del Lavoro di Savona (1903) e, successivamente, quale Segretario della Federazione Bottigliai (Livorno 1904).
Nel 1905 torna al giornalismo con la “Gioventù socialista” assieme a Michele Bianchi e Paolo Orano e funge da corrispondente da Roma del periodico “La Terra” fondato da Pietro Bologna. Nel 1907 è a Milano per occupare un posto da dirigente nel gruppo sindacalista dello PSI. In minoranza al Congresso delle Camere del Lavoro (Milano, 29 settembre -1° ottobre 1906) che sancì la nascita della Confederazione Generale del Lavoro rimase isolato anche al IX Congresso Nazionale dello PSI.
La svolta, per De Ambris, è rappresentata dalla nomina a segretario della Camera del lavoro di Parma nel febbraio 1907 pochi mesi prima della rottura con la Confederazione Generale del lavoro e la fondazione del periodico “L’Internazionale”.
L’azione del sindacalista è tesa alla ricerca d’unità fra i lavoratori della terra, con un marcato carattere egualitario della lotta e nel coinvolgimento dei lavoratori ausiliari, precedentemente esclusi dalle organizzazioni sindacali. Lo sciopero agrario del 1907, che si concluse con una netta vittoria, un successo dell’agitazione delle bustaie, scatenò il desiderio di rivincita delle organizzazioni padronali che contestarono gli accordi e dichiararono guerra all’organizzazione dei lavoratori; scontrandosi nel 1908 con un’intransigenza senza pari dell’Agraria, guidata da Lino Carrara ed Ennio Tardini, ricorrendo a crumiri e bande armate che costituiranno il modello per le organizzazioni padronali del primo dopoguerra.
Dal canto suo De Ambris e l’organizzazione camerale mettono in campo un’organizzazione militarizzata della lotta con una perfetta mobilitazione: staffette, pentole comuniste, accoglienza dei figli degli scioperanti in altre città non trascurando la ricerca di solidarietà all’agitazione; a questo proposito fanno fede le numerose offerte economiche per sostenere lo sciopero: citiamo, a titolo di esempio, quelle della Lega degli operai di Paterson, dell’Orchestra del Covent Garden, quelle di numerose Logge massoniche e non ultima la sottoscrizione della Federazione del Lavoratori della terra.
Parma nell’immaginario dei diseredati diventa la terra promessa: la nuova Israele.
Ma l’epilogo si ha il 20 giugno mentre De Ambris è nella bassa parmense per sostenere lo sciopero viene fatta scattare una provocazione utilizzando i volontari lavoratori che si conclude con numerosi arresti.
De Ambris riesca a sfuggire all’arresto nascondendosi per tre giorni, poi esce dalla città di nascosto per espatriare clandestinamente con un’automobile messa a disposizione dalla famiglia dell’industriale Edilio Raggio (quello della fornitura di carbone alle ferrovie dello stato) guidata dal figlio Carlo, amico di Luigi Campolonghi.
De Ambris dopo la fuga scelse nuovamente la via del Brasile; “L’Internazionale” andò in crisi nonostante gli sforzi di sostituire i latitanti e gli arrestati: Amilcare De Ambris, Angelo Faggi, Paolo Mazzoldi, Maria Rygier, Umberto Pasella e Michele Bianchi.
Nel secondo esilio brasiliano De Ambris ebbe la direzione del periodico “La Tribuna Italiana” che andò in crisi nel 12 febbraio 1910, nel maggio dello stesso anno inaugurò il monumento a Garibaldi arringando la folla contro la monarchia ed il clericalismo vaticano.
Nel 1911 è a Lugano ospite d’Angelo Oliviero Olivetti che gli offrì la collaborazione a “Pagine Libere” mentre continuava la collaborazione a “L’Internazionale”: ricordiamo la durezza dell’intervento su l’eccidio di Langhirano: “con una buona browing in tasca il diritto del cittadino si tutela assai meglio che con le sassi”.
Non va dimenticata la forte campagna antimilitarista per la spedizione di Libia con la più imponente manifestazione dell’epoca: cinquantamila persone giunte da tutto il paese.
In vista delle elezioni viene posta la candidatura protesta di De Ambris, sostenuta da un gruppo di repubblicani e di massoni di sinistra (fra cui spiccava Alfredo Bottai) che lo videro eletto al Parlamento come il primo deputato sindacalista del Regno (23 ottobre 1913).
Nel 1914 al Congresso camerale di Parma si ha la svolta strategica con la decisione di coniugare alle battaglie vertenziali ed economiche quelle morali ed istituzionali. La nuova impostazione fu messa a punto in una riunione ristretta alla presenza di De Ambris, Corridoni, Masotti e Giuseppe Di Vittorio.
Da battaglie di carattere parziale si tenta di passare ad un movimento complessivo.
Ad Ancona, il 9 maggio 1914, in occasione di un comizio pro Antonio Moroni ci furono scontri con tre morti: inizia la Settimana Rossa; nonostante le mobilitazioni in tutto il paese la mancanza di un centro direttivo fece fallire lo sbocco rivoluzionario degli eventi.
Il conflitto mondiale, iniziato il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico al regno di Serbia vide il nostro con un atteggiamento inizialmente neutralista e successivamente favorevole all’ingresso in guerra dell’Italia con i temi del celebre discorso di Milano del 18 agosto 1914: I sindacalisti e la guerra. Conferenza di Alceste De Ambris, apparsi ne “L’Internazionale” del 22 agosto 1914. Fu appunto De Ambris a consacrare la data della rottura fra l’esperienza tradizionalmente pacifista del movimento operaio e libertario ed a fissarla come l’inizio di una nuova stagione rivoluzionaria: il fatto bellico diventava il potente acceleratore del processo rivoluzionario. Nasce il fascio d’azione rivoluzionaria interventista (11 dicembre), propaganda rivoluzionaria sul fronte interno e nell’esercito affiancata da un’associazione segreta flessibile da adattarsi alle condizioni oggettive.
All’entrata in guerra dell’Italia De Ambris parte volontario e viene assegnato, con il grado di caporale, al 2° Rgt. Artiglieria da fortezza, batteria Falconara di stanza a La Spezia. De Ambris incarna la frattura della cultura rivoluzionaria a partire dalla prima guerra mondiale.
La sua adesione all’intervento ne vide la figura oscillare fra quella dell’eroe del proletariato e quella del traditore parafascista. Sottovalutato rimane l’originalità del suo antifascismo nell’esilio francese. Cioè la matrice mazziniana e preindustriale del sindacalismo deambrisiano.
Il rapporto – andato in crisi – con il movimento operaio parmense non si ricuce neanche durante il biennio nero.
In De Ambris si legano i miti del Risorgimento incompiuto con quello prometeico della missione rivoluzionaria quale vocazione politica. Dopo l’esperienza fiumana, sarà Capo di Gabinetto di D’Annunzio e l’estensore della Carta del Carnaro, e all’indomani delle barricate si recherà a Gardone, assieme a Luigi Campolonghi, per convincere il Comandante a dare una soluzione alla crisi italiana. D’Annunzio si dichiarava disposto a porsi alla testa di tutte le forze del “rinnovamento nazionale” da convocarsi a Roma, progetto che vedeva coinvolto anche Giuseppe Di Vittorio, per il 4 novembre. Progetto che costrinse Mussolini ad anticipare i tempi dell’insurrezione fascista.
Dopo la nomina di Mussolini a presidente del Consiglio De Ambris si prodigò nel tentativo della Costituente sindacale, trovando l’adesione di Rinaldo Rigola e Giuseppe Di Vittorio tentativo che vide lo scatenarsi di una campagna denigratoria nei suoi confronti.
Il terzo esilio, stavolta in Francia, De Ambris lo iniziava alla soglia dei cinquant’anni, dove nel 1926 sarà privato della cittadinanza italiana. In Francia fonda la Lega per i diritti dell’uomo di cui ricoprirà la carica di segretario generale ed organizzerà il convegno di Nerac da cui nacque la concentrazione antifascista.
Nel 1930, scrivendo a Livio Ciardi, si esprimerà chiaramente contro il regime: “perché il fascismo ha capito che io di certo pane non ne mangio fui e sono nemico del fascismo e tale resterò fino al mio ultimo giorno”. De Ambris morirà a Brive il 9 dicembre 1934.
Alessandro Roveri dalle colonne de “L’Unità” (7 giugno 1977) salvava dalla condanna storica proprio De Ambris e Di Vittorio entrambi “lontanissimi dalle suggestioni irrazionalistiche e vitalistiche come dal visceralismo antidemocratico ed antisocialista che furono altrettanti correnti del largo fiume che sfociò nel 28 ottobre 1922”.
Il secondo, Di Vittorio, attento all’immedesimazione con la propria terra e la propria gente, alla stretta aderenza ai bisogni reali delle masse, all’unità ed alla disciplina nell’organizzazione, la ferma volontà di lottare (l’ottimismo della volontà) mentre il primo, De Ambris, più attento alla funzione mobilitante del mito che all’analisi materiale dei bisogni reali.
Occorreva riportare il sindacalismo rivoluzionario nella storia del movimento operaio e socialista sottolineando l’alternanza nella leadership delle masse fra i sindacalisti rivoluzionari ed i riformisti.
Molti storici hanno sottolineato le forme pre-marxiste dell’associazionismo operaio, cioè la matrice mazziniana e pre-industriale del sindacalismo deambrisiano ed il fallito tentativo di riadeguare “metodi, linguaggi e prospettive rivoluzionarie ottocentesche al contesto della nuova società del primo dopoguerra”.
Il 27 settembre 1964 il busto di bronzo dello scultore Carlo Corvi fu posto sul sepolcro di De Ambris insieme alla lapide con l’epitaffio di Luigi Campolonghi (1876-1944): “Alceste De Ambris / scrittore tribuno combattente / fiero conduttore di moltitudini / Licciana 1874 – Brive 1934 / rifiutò gli agi e si curvò sulla miseria / per consolarla e redimerla / nato italiano morì cittadino del mondo / errante cavalier de l’ideale /esule /si fermò qui /onde la pietra che ne / sigilla le spoglie /non il sogno /grida nel suo nome: / amore ai ribelli – giustizia ai tiranni”.